Essere un regista comporta delle responsabilità. Sia perché si diventa più recettivi alle difficili realtà del mondo esterno, sia perché, a differenza della maggior parte delle altre persone, si hanno i mezzi e le possibilità per testimoniarle. Per questo David Michôd ha deciso di raccontare il complesso e pericoloso ambiente della Melbourne degli anni Ottanta, dove si trasferì a diciotto anni. All’epoca infatti, come racconta lui stesso, quella era una città macchiata da massacri e dilaniata dalle lotte tra la polizia e le bande di rapinatori. E proprio lì il regista maturò il primo nucleo di Animal kingdom, suo film d’esordio.
Michôd ha deciso di affrontare questa realtà attraverso il punto di vista di un ragazzo. Al centro del film c’è Joshua (James Frecheville, prima volta anche per lui), testimone, nel suo gelido e indifferente silenzio, dello svolgersi del dramma della propria famiglia, con cui è costretto a riprendere i contatti in seguito alla morte per overdose della madre. Il ragazzo deve fare i conti con le regole ed i rigidi legami che uniscono i membri della famiglia, capeggiata dalla nonna Janine (una bravissima Jacki Weaver), una donna forte e determinata che, come una leonessa, è pronta a sacrificare tutto per proteggere i suoi tre “cuccioli”, Craig (Sullivan Stapleton), Darren (Luke Ford) e Andrew “Pope” (Ben Mendelsohn). Gli zii di Joshua trafficano in droga, organizzano rapine insieme al loro compagno Barry “Baz” Brown (Joel Edgerton), corrompono poliziotti, lottano tra loro giocando come dei veri animali, ma è negli abbracci e nei baci della madre che trovano l’unico punto di riferimento.
Joshua, estraneo, distante e solitario, entra suo malgrado in contatto con un mondo che, nonostante non ci siano più né buoni né cattivi, lo costringe a prendere una posizione ed a scegliere da che parte stare nella violenta lotta tra la famiglia e la polizia, perché, come gli spiega il detective Nathan Leckie (Guy Pearce), «ogni cosa conosce il suo posto nello schema delle cose. Ogni cosa sta in ordine da qualche parte».
Michôd striscia silenziosamente in questo regno, cercando di catturarne le dinamiche. In un film spoglio ed essenziale racchiude l’azione della “crime-story” e la riflessione sulle responsabilità e la forza dei legami familiari. L’unico modo per diventare adulti sembra essere alla fine quello di scegliere se far parte o meno del branco, e comportarsi di conseguenza.