Canaan – Contro.luce

Inossidabili Canaan. Anche a distanza di quindici anni da Blue fire (1996), l’album d’esordio, la formazione capitanata da Mauro Berchi continua a macinare grande musica. Contro.luce, sesto lavoro di studio, è infatti l’ennesimo, affascinante viaggio in una terra oscura, fredda, inospitale, brumosa al punto tale che la luce non ha speranze. Il sound è quello ormai consolidato, all’insegna di una dark-wave magniloquente e spettrale al tempo stesso, dalla forte carica emotiva. Eppure, i nostri sono riusciti a non cadere nella trappola del deja-vù, grazie ad una scrittura ispiratissima tanto per quanto concerne le musiche che le liriche, entrambi veicoli attraverso cui si esprime, in forme terribilmente lucide, un malessere esistenziale senza fondo, che non ha nulla di artificioso, di costruito.

Dopo un album del calibro di “The Unsaid Words” (2005), il rischio di deludere era altissimo. Da questo punto di vista, probabilmente ha giovato la “divagazione” rappresentata dal progetto Neronoia, frutto della collaborazione tra il combo e Gianni Pedretti (alias Colloquio), sotto la cui insegna sono usciti due album notevoli, “Un Mondo in Me” (2006) e soprattutto “Il Rumore delle Cose” (2008), gemma oscura tanto preziosa quanto passata inosservata. “Contro.Luce” riprende il filo del discorso interrotto sei anni fa, regalandoci un concentrato di sonorità da incubo. Possenti, minacciose, eppure venate di una struggente malinconica, le ventuno composizioni del disco, giocate su stratificazioni di synth, bassi e chitarre, sono l’equivalente in musica di strazianti preghiere elevate ad un cielo carico di nubi dense e terribili presagi, lugubri meditazioni oppresse da un’acuta consapevolezza della tragicità dell’esistenza. Tracce cantate si alternano, nel disco, a brani strumentali. Nelle prime, la lezione della dark-wave è mediata dal doom, nelle seconde (tutte senza titolo), è l’elemento ambientale (con sfumature etniche) a prevalere. Che i nostri abbiano centrato il bersaglio ancora una volta ce lo fa capire subito l’opener, Calma, la quale, come recita il titolo stesso, è immersa in una sorta di quiete estatica, che si evidenzia nel meraviglioso ritornello. Il sogno ad occhi aperti, però, si trasforma ben presto in un incubo: lo strumentale seguente, infatti, ci precipita in una landa glaciale e desolata, dove mai nessun essere umano dotato di un minimo di senno oserebbe mettere piede di sua spontanea volontà. Onore è una supplica disperata, tormentata, che evidenzia in pieno il senso di sconfinata solitudine ed angoscia che si respira nella musica dei Canaan. Ma il capolavoro del disco è forse Terrore: Berchi qui scandaglia gli stadi terminali del dolore, immergendosi (ed immergendoci) in uno spaventoso abisso di sofferenza interiore, incarnato in una melodia spettrale, propulsa da lente ed estenuate pulsazioni sintetiche, che solo nel ritornello sembra acquistare un po’ di vitalità. Non c’è più speranza, non c’è più alcuna possibilità: siamo «alla fine di tutto». Per non essergli da meno, la traccia successiva (non cantata) è un concentrato di sinistri rumorismi, ideale colonna sonora di un film horror.

Ragione apre all’insegna di una stasi rapita, per tracciare, poi, con il refrain, un murale sonoro di lacerante tristezza. Gli archi incorniciano la malinconia irredimibile di Umiltà, mentre Concupiscenza è una sorta di cupo requiem. Esitazione è lo struggente commiato, all’insegna di un tormento esistenziale senza pace («deve esserci un modo/ per spegnere il dolore/ del cuore/ senza farlo sanguinare»): il lavoro di violini, violoncelli e tastiere s’intreccia con quello delle chitarre, creando una sorta di imponente wall-of-sound, che si stempera progressivamente in poche note di piano. Anche le tracce strumentali meritano però di essere ricordate: oltre a quelle già citate, segnaliamo la quarta e la sesta, che giocano su tribalismi, soundscape sintetici e spettrali litanie esotiche e soprattutto la numero 13, carica di un pathos oscuro.


Nonostante tre o quattro passaggi a vuoto (da rintracciare soprattutto tra le tracce non cantate, contraddistinte a tratti da una certa ripetitività), “Contro.Luce” è comunque un album di grandissimo valore, che ci riconsegna la band nello stesso stato di grazia in cui l’avevamo lasciata. Un disco dall’impatto sonoro ed emotivo davvero impressionante, contraddistinto da un’intensità che raramente capita di ascoltare. Un ulteriore conferma (ammesso che ce ne fosse davvero bisogno) del valore dei Canaan, il segreto meglio custodito della scena wave italiana.

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