Dan Bejar, musicista dallo spirito creativo inquieto e bizzarro, prevedibile non lo è mai stato. Addentrarsi in “Kaputt” (che prende il nome da un romanzo di Curzio Malaparte) vuol dire essenzialmente immergersi in atmosfere sognanti, retrò, nostalgiche, dove la misura del tempo sembra essersi totalmente persa. Il songwriter di Vancouver passeggia dentro questo scenario senza mai inciampare, convinto (a ragione) di come le trame jazz-pop da lui disegnate rendano al meglio tutto un crogiuolo di umori magicamente metropolitani, di cui le nove canzoni del suo nuovo album si nutrono avidamente.
Eccoci quindi alle prese con favolose e sofisticate partiture synth-pop, musicalmente connesse agli anni Ottanta, tra squarci dei Blue Nile di Paul Buchanan e lounge, appena accarezzate dai ritmi ballabili dei New Order. Fra i brani in scaletta, Suicide Demo for Kara Walker segna uno dei momenti di maggiore intensità: pianoforte, chitarra e sintetizzatore si combinano magnificamente, in un gioco costante di intrecci di note e di respiri vocali profondi. Un copione, questo, che si ripete anche in Downtown, con il sax a dettare il mood con scrupolosa precisione, al punto tale che il pezzo sarebbe perfetto come colonna sonora di un film. Imperdibili, sotto questo punto di vista, anche Blue Eyes e Poor in Love, dove la dimessa interpretazione vocale di Bejar brilla di luce sublime accanto al delicato tocco degli strumenti, proiettati vero l’estasi definitiva.
Poco importa che le atmosfere tendano alla lunga a ripetersi un po’ troppo. Probabilmente questo era l’intento insito in “Kaputt”, ovvero l’idea di offrire un registro musicale ed espressivo ben ancorato a determinati scenari urbani. Chissà, magari sarebbe stato bello vedere fra le tracce del full-lenght anche qualche spunto diverso, magari un richiamo al folk-pop degli anni passati. Ma forse no: forse è tutto perfetto così com’è. Dubbi a parte, alziamo le mani di fronte a questa certezza: scorre davvero tanta classe nelle vene del compositore canadese.