British Sea Power – Valhalla dancehall

Capita di ascoltare un po’ di tutto in questo “dancehall del Valhalla”: power-pop, indie, post-punk, post-rock. Evidentemente Odino ed i suoi accoliti (nella mitologia nordica, il Valhalla è uno dei palazzi di Asgard, il regno degli dèi, residenza di coloro che sono morti valorosamente in battaglia) hanno gusti stravaganti ed amano i contrasti. Scherzi a parte, questa quinta fatica dei British Sea Power è un caleidoscopio di sonorità diverse, eterogenee. Ci ritrovi dentro i riff graffianti e le melodie catchy del loro esordio, The decline of the British Sea Power (2003), le sonorità magniloquenti di Do you like rock music? (2008) ed i passaggi estatici ed ambientali di Man of Aran (2009). Insomma, una sorta di “best of” fatto di inediti, come se Hamilton, Noble, Yane Wood avessero voluto riassumere in tredici tracce tutta la loro carriera.

C’erano insomma tutte le premesse per un disco sterilmente autocelebrativo o schizofrenico, ma Valhalla dancehall, al contrario, suona solido e compatto. Merito di una scrittura ormai matura e di arrangiamenti ben calibrati e “grandiosi”. Nelle dichiarazioni del quartetto, l’album doveva suonare come un mix di «Serge Gainsbourg e i Kraftwerk dell’era Ralf Florian con una spruzzata di Stock, Aitken & Waterman»: era una boutade. I riferimenti sono altri. Thin black sail, per esempio, con il suo cantato sopra le righe, le chitarre incendiarie ed una sezione ritmica incisiva (il tutto condensato in un minuto e quarantasei), paga dazio ai Pixies (così come del resto Who’s in control). Georgie Ray, Luna e Living is so easy sono ballad raffinate, la cui languida teatralità è memore di David Bowie e dei suoi allievi Patrick Wolfe e Jarvis Cocker. I crescendo estatici di Baby, Cleaning out the rooms e Once More Now (lunga oltre 11 minuti) strizzano invece l’occhio ai Sigur Rós (e, nel caso dell’ultima, ai Go-Betweens), mentre Monkg II, dal canto suo, sfoggia una nevrosi chitarristica, un battito metronomico ed un umore dark che fanno pensare agli Interpol.

Il resto del disco fila via liscio come l’olio, grazie ai soliti numeri graffianti e trascinanti (We are sound, Stunde null e soprattutto Observe the skies) e a suggestioni new-wave di stampo ’80s (Heavy water).

Valhalla dancehall non è il capolavoro che i British Sea Power sembrano sempre sul punto di sfornare da un momento all’altro, ma è comunque un ottimo disco. Frizzante, energico, fantasioso, forte di un songwriting in grado di assimilare e rielaborare in modo personale spunti variegati garantendo l’equilibrio stilistico, l’ultimo lavoro del quartetto di Brighton conquista ed intriga, regalando un’ora di piacevolissima musica.

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