Battles – Gloss Drop

Domanda: dove sono finiti i Battles? Dov’è finita la band di Tonto, Atlas, il trio capace di imbastire quella febbrile miscela a base di math, jazz-rock ed electro-pop che luccicava in Mirrored? A giudicare da Gloss drop, quel gruppo non c’è (quasi) più. Abbandonate le lunghe e cervellotiche partiture del debut, Ian Williams e soci, orfani del genietto Tyonday Braxton, hanno optato per un art-pop più giocoso e per certi versi disimpegnato, quasi avessero bisogno di una seduta defatigante dopo un’estenuante maratona.

Il risultato non è malvagio, ma sicuramente più prevedibile. Brano-simbolo della svolta, il singolo Ice cream (con Matias Aguayo alle vocals), un etno-funk clownesco e straniante al tempo stesso, perfetto per attirare le simpatie di un pubblico indie abituato a certe contaminazioni à la Vampire Weekend. Qui come altrove (Africastle e Inchworm), la bizzarria è ostentata e dunque un pizzico insincera, così come l’eclettismo, quasi forzato: la nevrotica e “industriale” My machines (featuring di Gary Newman) qualche brivido lo regala, ma nel complesso sembra rifare il verso a David Bowie. Anche la più danzereccia Sweetie shag non decolla mai realmente, rimanendo in bilico tra la ricerca di una via personale all’electro-pop e il revival. Ovviamente i legami con il primo LP non sono completamente recisi: Futura, ad esempio, tenta di riprendere il discorso interrotto con Atlas, ma manca clamorosamente il bersaglio. I numeri migliori i Battles se li riservano per la fine. Rolls bayce è un piccolo esempio di progressive schizoide, tra bassi dub, synth ariosi e carillon stranianti, cui segue, senza soluzione di continuità, White electric, una sarabanda di ritmiche spezzate, chitarre ruggenti e keyboard ossessive. Chiude il disco Sundome (incisa con Yamantaka Eye dei Boredoms), che costruisce un ponte ideale tra estremo oriente, Giamaica ed Africa: il pattern minimalista è vivacizzato dalla tipica stratificazione strumentale, realizzata in maniera tutt’altro che ottusa ed anzi decisamente brillante.

Articolato oltre la media, l’etno-pop di Gloss drop è però inficiato dalla mancanza del talento “dada” di Braxton. La sensazione è che i Battles siano in piena fase di transizione: ad oggi, è impossibile dire dove il prossimo full-lenght li porterà. La speranza è che il trio recuperi un po’ della grinta e della lucidità irriverente di Mirrored: di cloni dei Vampire Weekend ce ne sono fin troppi in giro.

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