Ponytail – Do Whatever You Want All the Time

Clowneschi decostruttori della forma-canzone, i Ponytail di Molly Siegel (voce), Dustin Wong (chitarra, membro degli Ecstatic Sunshine), Ken Seen (chitarra) e Jeremy Hyman (batteria), nel corso di una carriera cominciata nel 2006 con “Kamehameha”, hanno guidato un giocoso e sistematico assalto alle regole dell’armonia e della melodia pop. Frantumando prog, folk, reggae, funk, punk, elettronica ed etnica, il quartetto di Baltimora, Maryland, ha coniato un ibrido sonoro che ha nel piglio saltellante, nervoso, ossessivo e in strutture free-form in cui s’incastrano motivi sempre bizzarramente “cantabili”, i suoi tratti distintivi. “Do Whatever You Want All the Time” recita il titolo di questa terza fatica dei nostri, e a ragione: perché i Ponytail fanno ciò che vogliono, come vogliono e quando lo vogliono. Lontani da mode e cliché, il combo si diverte a disseminare il suo terzo LP di citazioni, tessendo in strutture a loro modo organiche e intimamente coerenti una quantità sterminata di frammenti sonori, segni che rimandano a qualcos’altro, attuando un gioco di semiosi potenzialmente illimitata.

Quando parte Easy Peasy ci troviamo subito immersi in un mare di flutti elettronici, minimalismi esasperati, geometrie crimsoniane, tentazioni math-dance (avete presente i Battles di “Mirrored”?), tribalismi, vocalizzi isterici. Perdersi non è l’eccezione, ma la regola. E pazienza se la testa gira e le tempie pulsano: la giostra non può fermarsi. Il carillion folk orientaleggiante di Flabbermouse suona come una filastrocca intonata da un bambino capriccioso, mentre Honey Touches, pur aprendo all’insegna di una nenia cinese, sfodera drumming martellanti e nevrotiche schitarrate punk-funk, senza dimenticare, tuttavia, frizzanti accenni in levare ed un poderoso crescendo finale, con la Siegel che, imperterrita, sovrappone alla frenesia degli strumenti quella della propria vocalità, sottile e psicotica. Beyondersville/Flight of Fancy è l’apice del tour de force decostruzionista che i Ponytail hanno messo in atto: il brano si configura come una balbettante e surreale danza elettronica, in cui il cut’n’paste gioca un ruolo fondamentale, spezzando l’andamento della partitura e arricchendola di sfumature sempre cangianti. Il ritmo non accenna a diminuire, però. E neppure la sensazione di straniamento. Awayway, infatti, preme sul pedale dell’acceleratore, imbastendo un colorato teatrino nonsense in cui gli immancabili riferimenti alla musica dell’estremo Oriente si fondono con passaggi corali in odore d’Africa e sfuriate hardcore. E se Tush strizza l’occhio ancora a Ian Williams e soci a suon di loop, riverberi chitarristici e battiti tribali, Music Tunes, tra uno scherzo zappiano ed un occhio al dancefloor, abbraccia la follia rumorista e la frenesia di certa new-wave.

Insomma, non inventano nulla di nuovo i Ponytail. Ma “Do Whatever You Want All the Time”, nonostante potesse essere ancora migliore di quello che effettivamente è (in alcuni momenti si ha la sensazione che i quattro abbiano tirato un po’ il freno a mano, come spaventati dalla piega che il discorso avrebbe potuto altrimenti prendere), rimane comunque un signor disco, opera di una band dallo spirito irriverente e intelligentemente provocatorio, che ha tutte le carte in regola per licenziare, in futuro, album di assoluto rilievo.

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