Thurston Moore – Demolished Thoughts

Alla bella età di cinquantatré anni, Thurston Moore può permettersi il lusso (artistico) di fare ciò che vuole. Non bastasse il numero di primavere accumulate, ci pensano la militanza in un gruppo storico del calibro dei Sonic Youth e dischi fondamentali come “Confusion Is Sex” (1983), “Bad Moon Rising” (1985), “Daydream Nation” (1988) e “Dirty” (1992) a legittimarne la piena libertà di scelta estetica. Pertanto, occorre evitare di trattare “Demolished Thoughts”, nuovo capitolo della produzione solista dell’americano, come un banale divertissement. Perché in queste ballate psych-folk anni ’60, arrangiate per chitarra acustica, archi, arpa, tastiere e percussioni, il nostro ci crede sul serio. Al punto tale da chiamare alla propria corte Beck in qualità di produttore dell’album.

La svolta è meno sorprendente di quanto si possa pensare: del resto, tentazioni cantautorali affioravano anche nell’ottimo “Trees Outside the Academy” (2007), che modellava il verbo della “gioventù sonica” al fine di incanalarlo in una forma canzone che risultasse più accessibile. Indubbiamente il fatto che “Demolished Thoughts” venga dopo l’album-monstre “Sensitive/Lethal”, che raccoglieva tre lunghissime jam free-noise, disorienta non poco, ma non possiamo dire di essere dinanzi ad un episodio a se stante nella carriera del chitarrista. Certo, gli spunti di partenza (il Nick Drake di “Five Leaves Left” per esempio, o lo stesso Hansen di “Sea Changes”) sono per lui inconsueti, ma la penna finisce inevitabilmente per tradire gli amori di sempre. Accanto a passaggi estatici come Benediction, Illuminine, Blood Never Lies e January, si collocano, infatti, tracce più oscure, rabbiose, che trasudano una certa asprezza. Circulation, ad esempio, sfodera una martellante progressione post-punk condita da archi e synth che si fanno via via più isterici. Non gli è da meno Orchard Street, una nenia oscura, incorniciata da un arrangiamento imponente, che precipita in un finale cacofonico, mentre le tessiture minimaliste della chitarra in Mina Loy disegnano un paesaggio fosco, spettrale, complici anche le vocals sussurrate di Moore. Il clima metafisico-lisergico che aleggia sull’album è ben esemplificato dalla delicata indolenza di In Silver Rain With a Paper Key e da Space, intreccio di picking lievi ed elettronica dal sapore cosmico.

“Demolished Thoughts”, insomma, è un’immersione in un mare sonoro acidulo e meno placido di quanto non sembri a prima vista, una ragnatela di pattern iterativi, stratificazioni e disturbi che, sebbene intessuta con pazienza e gusto, non manca di avviluppare l’ascoltatore in un abbraccio sì soffice, ma al tempo stesso pressante. Moore dipinge scenari familiari, tuttavia dissemina qua e là segni perturbanti, rovesciando, insomma, l’atmosfera idilliaca che l’apparenza preannuncia. Meno ingenua di quanto non vorrebbe sembrare, questa raccolta di “pensieri demoliti” è in realtà cesellata con intelligenza sopraffina e in modo tutt’altro che frammentario, come il titolo farebbe pensare. Vero è che, contrariamente alle precedenti due prove soliste del nostro, qui manca il guizzo decisivo, il colpo del KO. La sensazione, però, è che il buon Thurston, anche con un album “minore” come questo, sia riuscito a lasciare nella polvere un mucchio d’inseguitori…

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