Michel Hazanavicius – The artist

Paradoss dell’era del digitale è fare un film muto in bianco e nero come The artist. In un epoca di 3D e produzioni con effetti speciali steroidei, il film del francese Michel Hazanavicius (famoso in patria per alcune spy story parodistiche), è un piccolo gioiellino di “cinema delle origini” (assieme a Hugo Cabret di Scorsese: è la tendenza dell’anno). L’acclamazione della critica, dieci le nomination all’Oscar (tra le quali quelle per «Miglior film» e «Miglior regista») e la Palma d’oro a Cannes a Jean Dujardin per la sua interpretazione da protagonista, testimoniano di un successo imprevedibile e più che meritato.

Stilisticamente vicino a Murnau, Borzage e Vidor, adoperati in effetti più come riferimenti che come modelli, per la trama The artist prende invece spunto da A che prezzo Hollywood di George Cuckor (1932) e soprattutto da È nata una stella di William A. Wellman (1937, poi rifatto nel 1954 dallo stesso Cuckor e nel 1976 da Frank Pierson). La vicenda narra di George Valentin, divo del cinema muto che cade in disgrazia a seguito della comparsa del sonoro (siamo nel 1927). A salvarlo dalla povertà, dall’alcolismo e dalla depressione, la giovane Peppy Miller, nuova reginetta di Hollywood, che egli stesso aveva contribuito a lanciare.

Citazionista fino al midollo (gli spettatori più smaliziati potranno cogliervi omaggi a film di Lang e Chaplin, ma anche a Vertigo di Hitchcock nello score di Ludovic Bource), la pellicola non scivola mai nel solipsismo cinefilo, nonostante non manchino passaggi di straordinaria bravura tecnica (la scena dell’incubo, ad esempio, con un Valentine angosciato proprio dalla “comparsa” dei suoni). Allo stesso modo, un certo gusto per il pastiche, caro al regista, e il gioco metalinguistico del film nel film, non gravano con problematizzazioni troppo cervellotiche sul piacere del racconto. Hazanavicius, insomma, dirige lo spettacolo con equilibrio e senso della misura, raccontando quella che fondamentalmente è una tenera storia d’amore tramite il ricorso alla “sola” forza delle immagini, con il bianco e nero usato in funzione espressiva (i toni di grigio variano a seconda dell’umore dei personaggi). Ottimo anche il cast di attori, in cui spiccano il già citato Dujardin e Bérénice Bejo (moglie del regista) nei panni di Peppy Miller, senza dimenticare Uggie, l’inseparabile Jack Russel Terrier di Valentin.

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