The Cult – Choice of weapon

Per una curiosa contaminazione tra new-wave e hard-rock, i Cult vissero, ad un certo punto, un gran bel momento di popolarità. Erano gli anni Ottanta, precisamente il 1985, e nelle radio impazzava il singolo She sells sanctuary, una delle canzoni migliori tratte dal celebre album Love, il full-leght con il quale la band inglese sancì un connubio tra sonorità gothic e l’approccio muscolare tipico del rock più duro. La vera maturità artistica venne raggiunta soltanto grazie a Sonic temple (1989), frutto di un lavoro straordinario da parte del producer canadese Bob Rock e, soprattutto, di un songwriting definitivamente a fuoco. A metà degli anni ’90, con l’esplosione del fenomeno grunge in America, la band si sciolse, mettendo un punto fermo (in realtà soltanto momentaneo) alla propria attività. Fortunatamente, la reunion del 2007 ha riportato i Cult di nuovo in pista, proprio come ai vecchi tempi.

Registrato tra New York e il deserto della California, con l’ausilio di ben due produttori (il fedele Rock e Chriss Goss), Choice of weapon è il nono capitolo nella discografia della formazione. Mai come questa volta, la volontà di fare le cose in grande sembra trasparire dal tono delle dieci tracce che compongono l’album. Ian Astbury (voce), Billy Duff (chitarra), Chris Wyse (basso) e John Tempesta (batteria) osano qualcosina già nel singolo For the animals, molto vicino al caratteristico sound della band, ma corretto da un approccio grintoso più moderno, che lascia trasparire una leggera familiarità con i Queens of the Stone Age. Lungo la stessa scia si collocano Amnesia, scandita da un drumming martellante e dal suono inacidito, quasi hendrixiano, della chitarra di Duff, e soprattutto The wolf, con una sequenza di power-chords chiassosi, suonati con durezza quasi metal. Buono anche l’impatto che scaturisce dalle atmosfere tenui e sentimentali di Life>death (la ballata che i Suede avrebbero dovuto scrivere negli anni ’90) e This night in the city forever, ma altre idee sembrano gestite, in alcuni casi, con scarsa lucidità: Lucifer, ad esempio, è un tentativo davvero poco brillante di flirtare con sonorità elettroniche, nelle quali fanno capolino riff di chitarra senza mordente, mentre il prevedibilissimo sfogo punk-rock di Honey from a knife è reso ancora peggiore dai cori stucchevoli nel ritornello. C’è spazio, però, anche per incursioni stilistiche inaspettate, ma vincenti, come il sorprendente blues-rock di A pale horse, che sarebbe piaciuto al Nick Cave di Dig, Lazarus, dig!!!.

Choice of weapon è un disco ambizioso, come raramente il rock di oggi dimostra di essere. Ai Cult spetta il merito di averci stupito con un lavoro solido, orchestrato con grande attenzione e pervaso da una notevole varietà stilistica. Un gradito ritorno.

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