Purity Ring – Shrines

distanza di poco tempo da Confess di Twin Shadow, la 4AD torna a fare incetta di r’n’b ed elettronica con i Purity Ring. Rispetto all’ultima fatica di George Lewis Jr., il debutto dei canadesi Corin Roddick e Megan James rinuncia alle geometrie new-wave e al piglio (finto) macho per immergersi in un bagno di oscura sensualità dreamy e groove hip-hop. Gli ingredienti sono i soliti: liriche depresse, che indulgono ad immagini macabre e paranoiche, intarsi di synth & loop, vocalità cristallina e produzione ultralaccata, per una manciata di partiture ben architettate ma noiose nella loro quieta uniformità. Come accaduto per altri prodotti, emersi di recente, che ammiccano all’estetica gothic (vedi i 2:54), i giovanissimi nordamericani (24 anni lei, 21 lui) sono bravi ad evocare atmosfere opprimenti e misteriose, meno a dargli sostanza.

Synth balbettanti, contesi tra spazi celesti ed oscure profondità (si fa per dire), beat rilassati, sample di varia natura e le vocals virginali della James (il “purity ring” del monicker è l’anello che simboleggia la promessa di castità dinanzi a Dio) esauriscono tutta la tavolozza del duo. Crawlersout, dunque, non solo apre le danze, ma in un certo senso le chiude anche, giacché nell’universo tratteggiato dai canadesi non è che poi succeda molto altro. Fineshrine qualche guizzo lo regala, ma più che la musica (un r’n’b etereo ed avvolgente) è il testo a colpire: la strofa «Get a little closer let fold / Cut open my sternum and pull / My little ribs around you / Those arms may be under, under you» chiarisce uno dei tratti fondamentali delle liriche, l’ossessione per il corpo, che nel corso dell’album si fa veicolo di problematiche esistenziali e spirituali. Una vena voluttuosa percorre tutto il lavoro: Saltkin, ad esempio («Still my sweating lips move my starving hips»), o la più efficace Obedear, dominata da immagini di cieli gravi e caviglie scorticate. Il punto, però, è che Shrines abbonda di cliché che impediscono alle tracce di immergersi in quel mondo grottesco, sottilmente perverso e carico d’inquietudine prepuberale, che suggeriscono. Nel mezzo qualcosa s’intravvede: Cartographist, oscura ed intrisa di richiami ancestrali (la «luce della luna», i «boschi non-nati», il «tempo della mietitura»), mostra un potenziale interessante, soprattutto in termini di future direzioni di sviluppo. Per il momento, però, tocca accontentarsi di mezzi pasticci come Grandloves (campionamento di You with air dei Young Magic), segno che Corin e James non hanno ancora la maturità necessaria per affrontare un discorso che vada oltre la citazione (Cocteau Twins, Dead Can Dance, Knife, Justice, Burial). La pasta c’è, però.

SOSTIENI LA BOTTEGA

La Bottega di Hamlin è un magazine online libero e la cui fruizione è completamente gratuita. Tuttavia se vuoi dimostrare il tuo apprezzamento, incoraggiare la redazione e aiutarla con i costi di gestione (spese per l'hosting e lo sviluppo del sito, acquisto dei libri da recensire ecc.), puoi fare una donazione, anche micro. Grazie