L’arpa d’erba è un racconto da molti considerato un vero e proprio gioiello della letteratura. Protagonista, il giovane Collin, ragazzo timido, curioso e semplice, resta orfano di madre, e viene affidato a due zitelle, Verena e Dolly Talbo. Tra le righe un’America di tanti anni fa, piccoli paesi del Sud in cui la gente vive con poco, e vite scandite dal ritmo delle fattorie, delle campagne e dalle voci di periferia. Piccoli frammenti di realtà, amori e passioni, persone e le loro storie, portate dal vento che risuona nell’erba come un’arpa.
Se, uscendo dalla città, imboccate la strada della chiesa, rasenterete di lì a poco una abbagliante collina di pietre candide come ossa e di scuri fiori riarsi: è il cimitero Battista. Vi sono sepolti i membri della nostra famiglia […] Sotto la collina si stende un campo di alta saggina, che muta di colore ad ogni stagione; andate a vederlo in autunno, nel tardo settembre, quando diventa rosso come il tramonto, mentre riflessi scarlatti simili a falò ondeggiano su di esso ed i venti dell’autunno battono sulle sue foglie secche evocando il sospiro di una musica umana, di un’arpa di voci.
In queste righe c’è tutta la potenza, la forza e la leggerezza narrativa di Capote, che in un attimo mescola vicende familiari e descrizioni minuziose dei paesaggi, tenute insieme con la forza delle similitudini. A dire il vero, esiste forse una certa somiglianza con i più famosi defunti sepolti sulla collina dell’Antologia di Spoon River, a cui Edgar Lee Masters ha dato voce. Anche quelle voci sembravano portate dal vento, e mentre viaggiavano raccontavano storie. Dolly apre la mente e il cuore di Collin, lo inizia alla vita vera senza però farlo smettere di sognare. «Se un mago volesse farmi un dono, dovrebbe darmi una bottiglia piena delle voci di quella cucina […] i crepitii del fuoco; una bottiglia colma fino all’orlo dell’aroma di burro, di zucchero, di forno». Il tutto senza lasciarlo ai margini dei problemi quotidiani, degli stratagemmi, delle paure e delle incomprensioni, perfino della morte. La forza di Capote sta nel reinventarsi rispetto alle altre opere, di domare come un maestro questo stile evocativo e preciso al tempo stesso, nel diventare esso stesso arpa di voci per narrarci una storia semplice, che racchiude non solo quella dei protagonisti ma che è uno spaccato del sud degli States degli anni ’50.
«“Senti? È l’arpa d’erba, che racconta qualche storia. Conosce la storia di tutta la gente della collina, di tutta la gente che è vissuta, e quando saremo morti racconterà anche la nostra”».