Alcuni pugili adottano un modo piuttosto singolare di combattere: si lasciano picchiare. Si mettono al centro del ring e semplicemente incassano o schivano i colpi dell’avversario per un determinato periodo di tempo. Questo incrementa la furia dell’antagonista, che spesso finisce per farsi trasportare dalla foga e arriva a compiere grossolani errori, perde l’equilibrio, si fa trovare scoperto o, peggio ancora, stanco.
Questa è la strategia di Philip Roth. Per 70 pagine Pastorale americana non inizia veramente, lo scrittore si preoccupa soprattutto di contestualizzare l’azione. Il libro si apre con la descrizione di quello che sarà il protagonista della storia: Seymour Irving Levov, un ragazzo biondo, alto, bello, popolare, atletico che frequenta il liceo di Newark e il cui soprannome, Svedese, risuona nelle pareti della scuola come quello di un dio dell’Olimpo. Il narratore, Nathan Zuckerman, è un ragazzo di qualche anno più piccolo che frequenta la stessa scuola e ammira da lontano le gesta dello Svedese. Nathan venera Seymour al punto tale che arriverà a frequentare il fratello minore, Jerry Levov, per poter sbirciare nella casa del suo idolo. Gli anni passano e i due protagonisti s’incontrano per caso all’uscita di uno stadio, decidendo di andare a cena insieme. Qui Nathan rimane irreparabilmente deluso da Seymour, che si rivela superficiale, piatto, un uomo che passa le due ore della cena a parlare di quanto sia meravigliosa la sua vita, dei successi ottenuti dai suoi figli, di quanto vada bene la sua azienda…
Ecco, questo succede nella prima parte del libro, dopodiché… BAM!, un pugno nello stomaco a chi credeva di aver già capito tutto. E dire che Roth aveva provato ad avvisarci: «Capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male, e dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando». Quella che segue sarà un’indagine drammaticamente spietata della società americana, della borghesia, degli studenti, degli intellettuali. Roth ambienta, non a caso, il romanzo in uno dei periodi più complessi della storia americana: la guerra nel Vietnam, la prima tragica sconfitta bellica degli Stati Uniti, con le sue ripercussioni interne, fatte di manifestazioni e movimenti di rivolta.
Arrivato alla fine del libro, il lettore si troverà nudo, a chiedersi “chi diavolo sono io per giudicare?”.