Il Mediterraneo, culla della civiltà, crogiolo di razze, culture. Il Mediterraneo, crocevia della Storia, quella con la “s” maiuscola, che è fatta di tante storie con la “s” minuscola, a loro volta intrise di sentimenti, passioni, aspirazioni. Con il quinto film, Gabriele Salvatores immerge il travaglio consueto dei suoi personaggi nel contesto della Seconda guerra mondiale. Niente più figli del ’68 travolti e storditi dal riflusso dei ’70 e dal rampantismo degli ’80: stavolta il proscenio è tutto per otto militari italiani che nel 1941 sbarcano su un’isoletta dell’Egeo. L’intenzione è quella di creare un presidio, ma ben presto, complice un guasto alla radio che rende impossibile la comunicazione con Roma, i ritmi di vita lenti del luogo catturano il manipolo.
Si dimenticano, allora, gli obblighi militari. Si scopre il gusto della convivialità, si ritorna alle antiche passioni (il tenente Montini, nella vita civile insegnante, si cimenta con l’affresco di una chiesa). O ci si innamora, come fa l’attendente Farina con la prostituta Vassilissa. La passione, per Farina, brucia al punto tale che, quando arriverà la nave che deve rimpatriare lui e i suoi compagni (sono passati tre anni dall’arrivo sull’isola: nel mezzo, l’8 settembre), preferisce rimanere.
In Mediterraneo, Salvatores mescola brillantemente commedia e malinconia, disegna una galleria di personaggi teneri e credibili, dà forma ad una parabola che è insieme politica ed esistenziale. Assieme a Marrakech express (1989) e Turné (1990), il film compone la cosiddetta “trilogia della fuga”, la quale, per il regista napoletano, non è un ripiegamento vigliacco, ma, al contrario, un atto eroico, lo scatto d’orgoglio di chi pronuncia con nettezza un il suo “non mi avrete” in direzione degli affaristi, dei cinici, dei corrotti. Anche in Mediterraneo, come negli altri film di Salvatores, gli spunti comici addolciscono l’esito amaro. Ma se Farina, Montini e il sergente Lorusso sono sconfitti sul piano materiale (volevamo cambiare l’Italia, dice Lorusso, ma non c’è l’hanno fatto fare), sul piano morale sono vincitori.
Qualche piccolo difetto (qua è là alcuni stereotipi affiorano) non inclina il valore poetico di quest’apologo sull’amicizia virile e la libertà, meritatissimo Oscar per il Miglior film straniero nel 1992, tra i punti più alti della filmografia di Salvatores.