Brian Eno – Lux

I risvolti recenti della carriera di Brian Eno sono stati fra i più controversi e dibattuti “casi” della musica contemporanea. Per taluni, gli ultimi lavori del Leonardo Da Vinci del rock hanno rappresentato un’autentica parabola discendente, una sorta di macchia d’olio mai in grado di coprire le sue grandi imprese ma presente e ben visibile. Per altri (e chi scrive concorda con questi ultimi), il genio di Eno non ha mai smesso di esprimersi visceralmente, limitandosi piuttosto ad evolvere sé stesso e le sue forme di diffusione.

C’è un arte, però, della quale il non-musicista britannico è e resta un sovrano indiscusso: l’ambient music, da lui stesso teorizzata trent’anni fa con l’omonima serie e il suo primo capitolo Music for airports, uno dei capolavori imprescindibili del ventesimo secolo. Da allora, Eno si è dedicato con perizia ad un’evoluzione continua della sua invenzione, giungendo negli Ottanta a coniare la nuova definizione di “musica generativa”, nei Novanta a creare su misura gli ambienti da musicare nelle sue installazioni multimediali, e più di recente ad adattare il tutto alla realtà virtuale delle app per smartphone.

E da questo background è necessario partire per analizzare Lux, sua ultima fatica nonché primo lavoro ufficiale di stampo ambient dai tempi di The drop (1997). Nei quattro lunghi brani che compongono l’album sono raggruppate dodici sezioni, ciascuna formata da due distinti flussi sonori intrecciati tramite riverberi, echi e sfumature di silenzio. Sulle “classiche” dolci culle di synth intervengono per la prima volta anche archi e fiati, a donare un calore inedito e a rappresentare una nuova evoluzione, sia musicale che concettuale. La perfezione formale viene infatti messa in disparte a favore dello scambio emotivo, e il legame fra musica e ambiente si trasforma in vero e proprio dialogo. Lux 1 riprende l’atarassia del bellissimo Neroli (1993), che viene modellata da tocchi neoclassici e mistici in Lux 2 per poi spogliarsi e purificarsi in Lux 3, prima di ricongiungersi al languido candore di Discreet music (1975) nella conclusiva e mastodontica Lux 4.

Totalmente incurante delle ingenerose e immeritate accuse giunte dal lato più snob della critica, l’ormai settantenne Eno continua a portare avanti la sua ricerca sulle interazioni fra musica, ambiente, percezione, tecnologia, tempo e spazio. Fra i saggi partoriti nel nuovo millennio, Lux è sicuramente il più riuscito e ispirato, magnifico connubio fra modernità e tradizione. Una lezione per tutti, ancora una volta. Immortale.

SOSTIENI LA BOTTEGA

La Bottega di Hamlin è un magazine online libero e la cui fruizione è completamente gratuita. Tuttavia se vuoi dimostrare il tuo apprezzamento, incoraggiare la redazione e aiutarla con i costi di gestione (spese per l'hosting e lo sviluppo del sito, acquisto dei libri da recensire ecc.), puoi fare una donazione, anche micro. Grazie