Non è eccessivo affermare che l’essenza stessa dell’arte di Robert Musil (1880) – 1942) sia racchiusa nel concetto di “frammento”. Vissuto negli anni del declino dell’Impero asburgico, nell’Europa a cavallo tra le due Guerre mondiali, l’autore austriaco meglio di altri ha incarnato lo Zeitgeist di un’epoca di decadenza e transizione. I turbamenti del giovane Törless (1906) e, soprattutto, L’uomo senza qualità, testimoniano in forme diverse dell’impossibilità della parola di sistematizzare il mondo nella sua multiforme interezza, nel suo perenne divenire: non a caso, il secondo – nei piani un colossale affresco “vitale” – rimase incompiuto, sancendo così il tramonto dell’epica.
I motivi dominanti della frammentarietà dell’Io e della “dittatura degli atomi” che dissolve il reale, sono alla base anche della vastissima produzione diaristica e memoriale, di cui Narra un soldato, pubblicato da Via del Vento, ci fornisce ottimi esempi. Le prose, tutte inedite in Italia e collocabili tra il 1908 e il 1927, abbozzano, appunto, temi e motivi tipici dell’opera musiliana. Il frammento omonimo e Il canto della morte gettano uno sguardo inquieto sull’esperienza dello scrittore al fronte. P.A. e la danzatrice, invece, risale più indietro, ai suoi primi tentativi letterari e all’infanzia a Steyr. La prosa è avvolgente, ricca di dettagli: come anche in Archivista e Foglio di diario, volti e storie s’intrecciano a passaggi onirici, irreali, o a slanci persino estatici.
Musil, insomma, ripercorre il filo della propria biografia saldandola a quella di un’epoca carica di contraddizioni e contrasti. Attraverso questa dimensione frammentata, l’autore abbozza un progetto di ricerca che mira a ridefinire non solo la stessa scrittura in relazione alla Storia, ma a suggerire quel “senso della possibilità” che, più tardi, affliggerà “l’uomo senza qualità” Ulrich. Un procedimento, insomma, cha parte dalla crisi per cercare una rifondazione – individuale, storica, culturale.
Di tutto questo, Narra un soldato ci fornisce un assaggio, breve ma intenso, grazie anche ad un apparato critico sintetico e al tempo stesso efficace, e a un bel saggio finale della curatrice (e traduttrice, assieme a Elizabeth Krammer), Claudia Ciardi. Un’introduzione (e nel caso di Musil, non potrebbe essere più che questo) al pensiero di uno dei massimi intellettuali del ‘900.