Rob Zombie – La casa del diavolo

Cinema horror? Cinema bastardo. Rob Zombie, con il secondo capitolo delle avventure della famiglia Firefly (una simpatica banda di squartatori, da far impallidire il proverbiale Jack), taglia, strappa, scortica e riveste di nuovo il genere. Gli abiti? Il road-movie, il poliziesco, il western, il pulp. La tesi è che gli stereotipi non sono un luogo in cui sostare, ma il vettore da cavalcare per arrivare ad una forma nuova, necessariamente ibrida (è il postmoderno, bellezza). In questo senso, La casa del diavolo (migliore – ça va sans dire – il titolo originale: The devil’s rejects, i “reietti del diavolo”) è “più film” del predecessore, La casa dei 1000 corpi, ha un respiro più ampio, che non si esaurisce nel divertito gioco cinefilo ma va oltre. I Firefly (Baby, Mother, Rufus, Tiny, Bill e il papà, Capitano Spaulding) sono pazzi assassini, e su questo non ci piove. Torturano, stuprano, ammazzano, e senza motivo, per puro gusto sadico, malato. Quando le forze dell’ordine li cingono d’assedio nella loro fattoria (è il 18 maggio del 1978) e quando, soprattutto, scampati all’assalto con minime perdite (Rufus morto, la madre arrestata), rapiscono e seviziano i membri della country band Banjo & Sullivan, facciamo il tifo perché la loro fuga termini presto e magari in modo non incruento.

Tuttavia, chi dà la caccia ai Firefly non è migliore di loro: lo sceriffo John Quincy Wydell non è mosso da un nobile ideale di giustizia, ma dal desiderio di vendetta personale (la famigliola gli ha ammazzato il fratello, sceriffo anche lui). Peraltro, neppure Wydell quanto a sadismo è secondo a nessuno, dunque il gioco è fatto: cambia la prospettiva, e ci troviamo a tifare per Baby, Otis e Spaulding, divenuti improvvisamente umani. La loro fuga assume i connotati di uno sputo in faccia all’autorità, condotta sotto i ritmi e il sound del rock’n’roll (Free bird dei Lynyrd Skynyrd è il commento sonoro del tragico e sanguinoso finale). Zombie, insomma, rovescia la morale e gli stereotipi: non ci sono buoni, ne La casa del diavolo, sono rifiuti grotteschi che sceneggiano le tensioni continue tra cultura e natura, tra istinto e legge. Una caricatura efferata della ribellione hippie e, insieme, un brindisi acido alla vittoria del conformismo.

La casa del diavolo è un gran bel filmetto. Zombie rielabora miti e cliché della cultura americana (da Bonnie e Clyde ad Easy rider) e ne trae un’opera al solito veloce e brutale ma più “adulta” della precedente. Lavoro di fino, molto sottovalutato.

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