Assieme a David Lynch, Quentin Tarantino è il cineasta postmoderno per eccellenza. Non a caso quell’altro geniaccio di David Foster Wallace, in uno dei suoi passaggi fulminanti, accomunava i due dicendo che a Tarantino interessa “guardare uno a cui stanno tagliando un orecchio”, mentre a Lynch “interessa l’orecchio”. Il riferimento, nel caso del cineasta italoamericano, è ad una scena de Le iene, film del 1992 che ne segna il debutto: in un magazzino, Mr. Blonde, scampato per miracolo ad una rapina finita male, tortura un poliziotto che ha preso in ostaggio mozzandogli un orecchio. In effetti, il gesto non è mostrato: con una delle sue tipiche ellissi (sempre nei momenti clou), la camera si sposta leggermente e inquadra una parete, con la scritta “watch your head” (“guardati la testa”). Un commento ironico, che smorza (un po’) l’efferatezza della scena e regala un piccolo saggio dello humor sardonico che contraddistingue i lavori di Tarantino.
Le iene è il suo capolavoro, un film esemplare per il rigore geometrico della costruzione, per la capacità di adoperare i cliché del gangster movie e dell’heist movie per costruire un film di superficie, in cui la suspence monta ma non porta da nessun parte, perché gli eventi periferici, le storielle, hanno preso il sopravvento sul resto. La grande rapina alla gioielleria, quella che fallisce per colpa di un infiltrato nella banda e che porta Mr. White, Mr. Orange (ferito e moribondo), Mr. Pink e Mr. Blonde nel magazzino, in attesa del boss Joe e del figlio Eddie, quella rapina fatale Tarantino non ce la mostra. Al contrario, al regista interessano più i dialoghi sul significato di Like a virgin di Madonna (la memorabile scena d’apertura) o la “storiella del cesso” di Mr. Orange, che però nulla ci dicono sui personaggi, piuttosto ci ricordano che quello che stiamo guardando è un gangster movie, pur se totalmente atipico. Anche nella scena della sparatoria finale, l’attenzione di Tarantino è più centrata sulla geometria della messa in scena che sul conflitto in sé.
Prototipo del cineasta onnivoro e citazionista (da giovane ha lavorato in una videoteca), Tarantino ne Le iene adopera i luoghi comuni del cinema di genere (in primis il look dei personaggi, che ne connota la natura criminale meglio di una fedina penale) per dissezionarlo e sovvertirne le regole. Tra le fonti, merita una menzione Cani arrabbiati di Mario Bava (1974), ma sono tanti i debiti che Tarantino non si cura neppure minimamente di dissimulare. Anzi, il gioco citazionista è scoperto ed evidente, e costituisce l’essenza stessa de Le iene: “torturare” il gangster movie così, per puro divertimento.