Stoker: il titolo di questo esordio in lingua inglese di Park Chan-wook è inequivocabile, rimanda a Bram, il papà di Dracula. Nel film, in effetti, un vampiro c’è: non ha però i canini, non prova repulsione per l’aglio e non si uccide con paletti di frassino. È lo zio Charlie, un elegante giovanotto che s’insinua nella vita di India e di sua madre, Evelyn, appena rimaste orfana e vedova di Richard Stoker, morto in un incidente il giorno del 18° compleanno della figlia.
L’apparizione di Charlie è un innesco potente: al suo fascino non sanno resistere né India né Evelyn. Tra le due donne esplode la competizione: India, in particolare, scopre il sesso e il desiderio, anche in forme abiette (l’omicidio). È lei la vittima prediletta dal vampiro: e sarà lei, a sua volta, a diventare portatrice del suo stesso germe infetto, realizzando quel passaggio alla maggior età che costituisce il tema portante della pellicola. Stoker, infatti, è un film liminale: mostra cosa accade quando le porte dell’abisso si spalancano. La pulsione mortifera e l’amoralità galoppano, travolgono i legami di sangue, sfociando in un clima di paranoia allucinata facile a confondersi con il soprannaturale.
La sceneggiatura di Wentworth Miller (l’attore protagonista della serie tv Prison break) strizza l’occhio ad Hitchcock e all’horror. In un’elegante casa di campagna, il racconto tratteggia un microcosmo familiare fatto di follia e perversione. Evelyn vede in Charlie un’occasione per ritornare giovane dopo un matrimonio insoddisfacente, spento. India, adolescente introversa e dalle fattezze “vittoriane” (pallida, completini retrò, silenziosa o tendente a discorsi lugubri) scruta lo zio con diffidenza, ma da subito ne sente (letteralmente) il richiamo. Non ci vuoi poi molto a capire che Charlie è lì per lei, nel tentativo di cancellare la lavagna piena di errori della sua vita. Del resto, dice Evelyn in un momento di spietata sincerità, si mettono al mondo i figli per avere una piccola copia di sé che possa evitare i propri sbagli. Così Charlie con India: anche quando era lontano (in viaggio in Europa, secondo i suoi racconti), a scontare un terribile esilio, si era aggrappato a lei ossessivamente, col pensiero e nelle lettere che le spediva (e che mai le furono consegnate). Tornato, cerca la ragazza, la raggiunge e, un po’ padre, un po’ maestro, un po’ amante, ne fa la sua discepola nella follia.
Park Chan-wook dirige lo spettacolo con il consueto mix di maestria ed eleganza, in bilico come sempre tra sporcizia e sublime, tra estasi e crudeltà. Montaggi in parallelo e flashback concorrono a definire l’intelaiatura ossessiva della pellicola, creando una suspense notevole. Come notevoli sono anche i tre protagonisti: la patetica vedova Nicole Kidman, il gelido ed enigmatico Matthew Goode e Mia Wasikowska nei panni della vergine che finisce col surclassare il suo maestro quanto a cinica depravazione.