Peter Howitt – Sliding doors

Una manciata di secondi. Una bambina che ti intralcia mentre scendi le scale della metro: basta questo per cambiare una vita. Perché nell’istante perso, le porte della vettura che dovrebbe riaccompagnarti a casa dopo una giornata faticosa si chiudono, e ti costringono a rimanere sulla banchina. Non ci fosse stato il piccolo contrattempo, chissà dove saresti ora…

A questa domanda risponde, con intelligenza, Sliding doors, il debutto cinematografico di Peter Howitt (1998) e, soprattutto, il film che lanciò definitivamente la stella di Gwyneth Paltrow. È lei, infatti, in quella stazione: e da quel momento cruciale, la pellicola si biforca, mostrando come vanno le cose nell’universo in cui Helen è salita sul treno e in quello in cui l’ha perso. Nel primo caso, la donna torna a casa e scopre il suo fidanzato, Gerry, a letto con l’amante; nel secondo, invece, non smaschera (subito) il tradimento, e continua ad illudersi sino all’ultimo di vivere con un uomo che la ama.

Anche in questa realtà, però, i nodi verranno al pettine, anche se in modo assai drammatico. Certa, però, è la presenza in entrambe le ipotesi spaziotemporali di James, affascinante e simpatico chiacchierone, di cui Helen s’innamora. Perché se una morale Sliding doors ce l’ha è che al destino, nel bene e nel male, proprio non si può sfuggire.

Howitt, insomma, prende una materia difficile (mutuata da Kieślowski, in particolare da Destino cieco) e la declina in forma di commedia romantica: racconta i capricci del fato, le realtà e le vite parallele, ma con un tono delicato, leggero (molto british), senza filosofemi. Se la pellicola, comunque scritta e diretta con garbo, è particolarmente godibile, però, lo si deve anche ai protagonisti: la Paltrow e John Hanna (nei panni di James, che cita a più riprese i Monty Python) rinunciano all’istrionismo e alle mossette da commediola sdolcinata in favore di un’interpretazione agrodolce, tra sorriso e malinconia. Bravi anche John Lynch e Jeanne Tripplehorn, nei panni dello scrittore fallito Gerry e della sua amante, Lydia.

Sliding doors è costruito intorno a certi giganteschi “se” che fanno capolino nella vita di ognuno, nei momenti di crisi. Il suo merito, però, è quello di non esaurire tutto nel rimpianto o, all’opposto, nel lieto fine consolatorio (anche l’epilogo migliore tra i due costa fatica alla protagonista). La pellicola di Howitt esorta a guardare avanti, oltre le piccole avversità – che non è detto, poi, finiscano necessariamente per nuocere…

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