Whitley – Even the stars are a mess

C’è aria di smarrimento, di disillusione e vuoto esistenziale in Even the stars are a mess, terzo disco di Whitley, al secolo Lawrence Greenwood. Rispetto alle prove precedenti (Submarine e Go forth, find mammoth, rispettivamente del 2007 e 2010), il songwriter australiano ha accentuato la dimensione dark della sua scrittura. Le impalcature, invece, quelle sono rimaste scarne, essenziali, un mix di arpeggi folkeggianti e desolazioni sintetiche su cui s’innesta un cantato ferito, dolente, ma ancora vivo.

Il risultato magari non è particolarmente memorabile, ma suona genuino. E qualche buona idea c’è. Tv, ad esempio: cupe scansioni blues, handclapping, un arpeggio e un bordone di tastiere che rischiara il ritornello, sono gli efficaci puntelli per una confessione sul nulla desolante di un’esistenza al riparo dal mondo («I get my friends from the TV / I get my sex from the TV / I’ll bury my heart with a TV»). Per l’arpeggio frenetico e il delicato controcanto femminile, My heart is not a machine sembrerebbe ispirata al primo Leonard Cohen, ma la sensibilità è inevitabilmente più “moderna” e pop.

Altrove, è Jeff Buckley a fare capolino (il pathos di The ballad of Terence McKenna), o dei Sigur Rós spuri (Pride), magari contaminati con il gospel (Final words). Insomma, a discapito di arrangiamenti davvero minimi, Even the stars are a mess ha una sua varietà, subdola, centellinata con cura, da scoprire nelle pieghe di un intimismo sincero. Il punto, però, è che le melodie non sempre sono all’altezza della situazione, e qualche volta (vedi I’m not a rock) puntano tutto sul mood “confessionale” che, tuttavia, non può e non deve assorbire tutto lo spettro comunicativo, pena qualche sbadiglio.

In Even the stars are a mess c’è (ancora) una certa staticità, “ideologica” prima che estetica: a Whitley premeva raccontarsi e al tempo stesso sperimentare armonie diverse, ma l’accento, si sente, è ancora sulla prima fase, quella del songwriter “puro”. Allentasse ulteriormente le briglie alla sua musica, Greenwood potrebbe regalare qualcosa in più di qualche buon numero da inserire nelle colonne sonore di One tree hill.

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