Un pazzo che gioca con la polizia una partita a videopoker. In palio, la vita di una donna. Se all’inizio le forze dell’ordine non intendono partecipare alla sfida, dopo la morte della rapita sono costretti a cedere alle richieste del Cartaio. Le morti e le partite continuano, nonostante l’operato di un’agente, Anna, e del collega John Brennan. Nel frattempo, viene reclutato Remo, un asso del videopoker, perché se non è possibile arrestare subito il Cartaio, bisogna almeno tentare di salvare le giovani dalla sua furia omicida.
Il Cartaio è un assoluto orrore. Nel senso che è quasi inguardabile. A mancare è proprio una buona sceneggiatura, che coniughi una storia credibile a colpi di scena e, trattandosi di un film di Dario Argento, a quei momenti di pura paura a cui ci aveva abituati. Purtroppo siamo ben lontani dai tempi di Profondo Rosso o Suspiria, e si ha quasi la sensazione che il regista o sia a corto d’idee o si sia messo alla prova con un argomento un po’ fuori dalle sue corde: il tema delle partite online, o meglio, il passaggio dal mondo reale a quello virtuale, è senz’altro di grande attualità, e poteva essere una buona base di partenza per imbastire un prodotto quantomeno interessante e di buona qualità formale. Invece, non solo è quasi facile indovinare sin da subito chi potrebbe essere il Cartaio – nel film vengono usati dei piccoli espedienti per allontanare i sospetti, ma anche questi un po’ deboli e, comunque, confutabili –, ma anche l’intera sequenza degli avvenimenti appare un po’ fiacca, alle volte persino surreale (come la scena dei festeggiamenti in grande stile, con tanto di spumante, per la liberazione di una delle rapite, Lucia: ma il Cartaio è ancora a piede libero, chiaramente ci saranno nuovi rapimenti, nuove vittime e tutti sembrano dimenticarsene).
Il problema maggiore de Il Cartaio è che non impressiona per niente. Al contrario, un film di Argento (sempre che non sia egli stesso ad annunciare un drastico cambiamento di genere) dovrebbe spaventare, creare tensione, tenere con il fiato sospeso, in attesa di nuovi, eclatanti sviluppi. Purtroppo così non accade e tutto si risolve in una pellicola che non raggiunge la sufficienza, nemmeno tenendo conto che certe cadute di stile possono succedere a tutti, anche a uno stimato artista come Dario Argento. Nessuna indulgenza nemmeno per Stefania Rocca e Claudio Santamaria, in genere discreti attori nostrani e le cui interpretazioni, in questa sede, lasciano davvero a desiderare. Stroncatura ancora più feroce per Silvio Muccino, quasi patetico nei panni dello sfortunato Remo. Molto più efficace nella commedia, il genere a cui dovrebbe limitarsi.