Nine Inch Nails – Hesitation marks

Mancavano all’appello da cinque anni, i Nine Inch Nails. Per carità, Trent Reznor non ha risparmiato le forze in questi sessanta mesi: le colonne sonore per David Fincher, il primo EP e poi l’album degli How to Destroy Angels, e la collaborazione con i Queens of the Stone Age, almeno quantitativamente hanno nutrito bene l’attesa. Ma da quando ha annunciato di voler rispolverare la vecchia sigla, il musicista di Mercer, Pennsylvania, ha avuto tutte le attenzioni puntate sui NIN, facendo passare in secondo piano il resto. Come a dire: Trent è i Nine Inch Nails.

Hesitation marks è nato dall’intenzione di incidere un paio di tracce per un “best of”. Presto, però, il lavoro di Reznor con Adrian Belew (poi uscito dalla band, poco dopo lo storico bassista Eric Avery) ha fruttato un’ispirazione rinnovata, in tutti i sensi. Hesitation marks, infatti, aggiorna le consuete ossessioni dei Nine Inch Nails alla nuova temperie. La rabbia degli anni ’90 è trattenuta, ingabbiata in strutture minimali che flirtano con l’hip-hop, l’r’n’b, persino il funk. Più che al precedente The slip (2008), è a Welcome oblivion degli How to Destroy Angels che Hesitation marks guarda, alla precisione dei suoi intarsi, alla cura del sound, alla sua accessibilità seducente.

Dunque se cercate un Pretty hate machine (1989) o un The downward spiral (1994) parte II siete fuori tempo massimo. L’inquietudine, lo smarrimento esistenziale e la paranoia adesso si muovono lungo i fili scoperti di Came back haunted e Copy of A, violente e sofisticate, tutte da ballare. Sono altri però i brani chiave di Hesitation marks. Find my way, per esempio, che si distende lenta e via via sempre più spettrale; Satellite, un r’n’b ossessivo, sporcato da bordate di synth e dalla chitarra distorta di Belew, e While I’m still here, che alle tinte black aggiunge persino un tocco di fiati (poi risucchiati dall’incubo fantadegradato di Black noise).

Si tratta di brani che giocano su complesse stratificazioni, alchimie di minimalismi e manipolazioni sonore dall’innegabile efficacia – vedi Running, un esercizio di minimal techno che proprio la cura dei dettagli, la brillantezza delle manipolazioni e l’efficacia della loro combinazione, salva dall’anonimato. Reznor è un architetto di suoni sempre più ingegnoso. Anche il giro funky di All time low, o l’impasto di pop e new-wave di Everything, non proprio brillantissimi, sotto la sua guida acquistano uno spessore subdolo e magnetico.

Hesitation marks è un disco che parla della ricerca di se stessi, ma che la sua “incertezza” la sa vendere bene. Magari gli ingredienti di base non sono freschissimi, ma il loro mix è avvincente. E poi, la classe di Reznor sono in pochi a poterla vantare.

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