Michel Gondry – Mood indigo. La schiuma dei giorni

Che succede se a un libro ricco di vita, amore, surrealtà, uno applica la lente delle proprie ossessioni stilistiche cercando di tradurre certosinamente le parole, i concetti, in immagini? Un mezzo fiasco, come con il Michel Gondry di Mood indigo – La schiuma dei giorni. Tratto da un romanzo (splendido) di Boris Vian, il film del regista di Se mi lasci ti cancello e Be kind rewind è talmente tanto preoccupato di trasmettere poesia attraverso la cura del dettaglio formale, che la poesia vera gli sfugge di mano, gli scivola via, esattamente come scivola via la vita da Chloë, la bella protagonista, interpretata da Audrey Tautou.

Chloë ha un male difficile da classificare (eufemismo): una ninfea ha preso a crescerle nei polmoni. L’unica cura è circondarsi di fiori, ed è per questo che il marito, Colin (Roman Duris), si destreggia tra mille lavori. Nell’affrescare questa parabola, il film evolve dallo stile leggero e bizzarro della prima parte a quello più pesante ed opprimente della seconda. Letteralmente: la pellicola sembra avvizzire come i fiori e Chloë, scolorendosi, diventando via via più claustrofobica. Gondry, insomma, crea un parallelismo tra il film e il corpo della protagonista, più in generale con la caducità dell’esistenza. La felicità e l’amore sono impossibili, in questa Parigi irreale e sospesa nel tempo – al punto tale che è impossibile pure raccontarli: mostrarne gli effetti sulle superfici dei corpi (persino della pellicola) è quasi una scelta obbligata.

Il punto, però, è che così ci si dimentica di tutto il resto – dell’emozione e della poesia. Gondry è uno dei supremi artigiani del cinema, nel senso più pieno del termine: anche stavolta, gli effetti speciali rigorosamente analogici che mette in campo sanno essere sbalorditivi. Almeno all’inizio: la sovrabbondanza li rende poi stucchevoli. Come le ninfee, crescono e avviluppano tutta la narrazione, soffocandola, rendendola impenetrabile all’emozione. Per uno come Gondry, insomma, Mood indigo (a proposito, il titolo deriva da Duke Ellington, il cui jazz fa da colonna sonora qui come in Vian) è un bel paradosso: «il più straziante dei romanzi d’amore contemporanei» (parola di Raymond Queneau) trasformato in un bello e freddo esercizio di stile.

Insomma, se smaniate per vedere un pianoforte che prepara dei cocktail, Mood indigo è il film che fa per voi. Se cercate, invece, un Se mi lasci ti cancello “parte seconda”, risparmiate i soldi del biglietto.

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