Il 2013 è l’anno dei grandi ritorni. David Bowie, i My Bloody Valentine, i Mazzy Star. Potevano i Sebadoh essere da meno? Certo che no. Contrariamente ad altri fenomeni di culto dell’indie (vedi Robert Pollard e i suoi Guided by Voices, che in dodici mesi hanno pubblicato quattro dischi), Lou Barlow non è che sia esattamente prolifico: con la sua creatura (sua e di Jason Lowenstein, ora che l’altro azionista, Eric Gaffey, non è più della partita) è stato tutto sommato parco, concedendosi addirittura uno iato di 14 anni.
Defend yourself, il disco della rentrée, nasce da un cuore spezzato (quello di Barlow), e dunque bilancia in maniera intelligenze esuberanza, durezza ed intimismo. Certo, la novità non è di casa, qui: i due songwriter offrono perfetti esempi di college rock e ballate indie, districandosi con scioltezza tra passaggi musicalmente più sbarazzini e momenti grintosi. Fanno il loro, insomma, e lo fanno bene, sin dall’attacco, con l’orgogliosa I will («Things have changed / No longer need to be with you»). L’effetto macchina da tempo è una costante di tutto il disco: tanto al cospetto delle più remmiane Oxygen e Can’t depend, che dell’epica e tesa Defend yr self, veniamo proiettati indietro di vent’anni, ma il risultato non è asfissiante come certi amarcord. Sarà che Barlow e compari vengono da lì e sanno di cosa parlano, sarà quel tocco psichedelico nient’affatto autoindulgente (Beat), sarà che la musica è comunque capace di alleggerire il tono drammatico dei testi (il country rock di State of mine).
Sarà, soprattutto, che una ballad come Let it out non è uno scherzo che si possa improvvisare così su due piedi: nasce da un dolore profondo, da uno smarrimento sincero. Soprattutto, non spreca una nota, un beat, a piangersi addosso. Più cupa (ed elettrica) è Listen, mentre No wound è un bell’esempio di funk-rock forse vicino ai Primus – tanto per chiarire come a Defend yourself non manchi una discreta eterogeneità.
La chiusura saltellante e concitata di All kinds è un sigillo riconoscibilissimo: i Sebadoh sono tornati. E pazienza se i tempi di III (1991), quando il lo-fi era agli albori, sono lontani: contrariamente ai Pixies (altri redivivi del 2013), Barlow e Lowenstein dimostrano di avere ancora benzina per poter riaccendere (almeno a tratti) la vecchia fiamma. E forse anche per curare qualche cuore spezzato…