Alfonso Cuarón – Gravity

La dottoressa Ryan Stone (Sandra Bullock) è un ingegnere biomedico, impegnata per la prima volta in una missione nello spazio. Durante alcune riparazioni esterne, guidate dal comandante Matt Kowalsky (George Clooney), l’equipaggio dello shuttle viene investito da una tempesta di detriti spaziali e ne viene decimato. I due unici superstiti sono appunto la dottoressa e il comandante che, a causa della distruzione dello shuttle, devono raggiungere una stazione orbitante per sperare di poter tornare sulla terra.

Lo spazio è il grande antagonista del film di Cuarón, un’angosciante e infinta distesa nera che è una minaccia costante. I personaggi sono costretti a passeggiare appesi a un filo, sospesi sopra a quella che si prospetta come una caduta infinita. L’oblìo più della morte. Gravity è un film completo sotto ogni aspetto. Costruito su una sceneggiatura ad orologeria, l’intensità drammatica è in certi momenti quasi insostenibile. Un conto alla rovescia continuo, strutturato sull’impossibilità di sopravvivere nello spazio; alimentato dal calo costante della percentuale di ossigeno nelle tute spaziali e dalla tempesta che torna ciclicamente (nella storia, ogni 90 minuti i detriti compiono un giro intorno alla terra) a devastare la scena.

Il viaggio della protagonista non sarà fisico, ma anche interiore: la dottoressa Stone ha sofferto per la morte della figlioletta di quattro anni e da allora la sua vita si è ridotta a una serie di giornate tutte uguali (“lavoro, guido e torno a casa”): per sopravvivere dovrà riscoprire dentro di sé la voglia di farcela, di non mollare. Ma l’aspetto più impressionante di Gravity è sicuramente la regia. Il film inizia con un piano-sequenza di tredici minuti; molte altre inquadrature nel film durano 5-6 minuti, ma la messa in scena non è mai pesante, o noiosa, o leziosa. I movimenti di macchina sono ampi e fluidi. Fluttuano nel nulla come i protagonisti. Ora stringono sul volto dei personaggi, ora li inquadrano come minuscole figure nell’immensità dello spazio. Tutto è strettamente funzionale al racconto.

Certo, Gravity non è perfetto. Gli si potrebbe obbiettare di essere esageratamente costruito sulla tensione, di aver optato per qualche forzatura negli avvenimenti, ma sono osservazioni che sopraggiungono a mente fredda, dopo aver passato 90 minuti con gli occhi incollati allo schermo.

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