Spiritual Front – Black hearts in black suits

Apri il sito degli Spiritual Front, e ti trovi di fronte un annuncio che recita: «Hello, during the next days I’ll be in tour with Death in June», e questo fa capire parecchio sul sound della band. O meglio, del progetto: il dominus della situazione è chiaro, è Simone Salvatori. Per Black hearts in black suits, il musicista romano ha fatto di nuovo squadra con il compositore Stefano Puri, con cui aveva già collaborato ai tempi di Armageddon gigolo (2006): il risultato è un folk intriso di influenze classiche e decadenza mitteleuropea, con un pantheon che oscilla da David Tibet a Rainer Maria Fassbender, i cui poemi sono alla base del lavoro.

Le quindici tracce alternano dunque musica sacra (Requiem aeternam, Dies irae, la Lacrimosa dal Requiem mozartiano), strumentali al chiaro di luna (Franz, presumibilmente dedicata a Schubert, Martha, Veronika, Erwig) e ballate romatico-decadenti, il tutto con arrangiamenti in cui svetta il pianoforte, accompagnato da archi e fisarmoniche. Le idee scodellate alla fine non sono poi molte (un minutaggio inferiore avrebbe aiutato a condensarle meglio), ma il risultato a tratti è decisamente affascinante. Più della lunga (nove minuti) I just can’t have nothing (comunque potente), è Life’s too long a segnare il picco estetico ed emotivo dell’album: una predica veemente tra Brecht/Weill e Nick Cave ma arrangiata a metà strada fra un tango e un valzer, con gli archi che sciolgono la tensione solo nello splendido refrain (davvero, un colpo al cuore).

L’approccio è sicuramente teatrale, ma non eccessivamente gigione, e questo è un bene: gli Spiritual Front lasciano parlare le canzoni. Salvatori ama definire il suo “suicide pop”, una formula un po’ goffa che ha se non altro il pregio di esemplificare le due dimensioni lungo cui si muove la sua scrittura: il calore della melodia e la pulsione mortifera (vedi Choose death e Each man kills the thing he loves, che cita Jeanne Moreau in Querelle de brest). I “cuori” del titolo qui sono vestiti a lutto per via dell’amore, che va e viene e lascia feriti, come da prassi romantica. Ma malgrado i cliché e la sovrabbondanza di citazioni, brani come Franz, Martha, Veronika, Erwig, Eternally yours (altro brano da inserire tra i migliori), I believe i was yours, le stesse Life’s too long e I just can’t have nothing, non scadono mai nella caricatura involontaria.

Un buon lavoro, Black hearts in black suits, che mostra lampi di grazia che forse sarebbe opportuno valorizzare meglio in termini di produzione (un po’ piatta) e di concisione della scrittura (Requiem aeternum, Dies irae e Lacrimosa, ad esempio, appaiono pleonastiche). Per un Natale dal cuore oscuro.

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