Martin Scorsese – The wolf of Wall Street

Lo guardate How I met your mother? Avete presente le compilation di Barney Stinson? Le Get psyched mix, che invece di alternare brani lenti e potenti sono “all rise”, cioè tutti al massimo? Ecco, nella scaletta non ci troverete dentro la solita ballata o il solito giro di do, ma ci sarà il riff più esplosivo, l’urlo più potente, l’assolo più virtuosistico, uniti al puro e semplice divertimento e ad un sapore vagamente trash. Senza preoccuparsi di nient’altro, senza rallentare mai. Come queste compilation, l’ultimo film del 71enne Martin Scorsese spinge il pedale a tavoletta per tutta la sua durata e se ne frega di seguire un giusto ritmo narrativo e, come un esordiente, ci butta dentro tutto quello che è possibile metterci: dai tiro a segno con i nani alle discussioni sulle vagine depilate, dalle sniffate in stile “braccio di ferro” alle orge in aeroplano.

Quando a DiCaprio è arrivata l’autobiografia di Jordan Belfort, ha capito subito di essere di fronte a un progetto potenzialmente esplosivo. Le case di produzione però non erano troppo contente di finanziare un film così estremo e ci sono voluti molti anni prima di trovarne una che lo producesse senza interferire con le scelte artistiche. Solo a quel punto è salito a bordo Martin Scorsese, «l’unico capace di dare vita a questo personaggio». Il film ripercorre la vita e la carriera di Belfort, da semplice rampollo di una agenzia di brokeraggio, a presidente di una delle più influenti società di Wall Street. Seguendo sempre i tre precetti su cui si fonda una tale scalata al potere, vale a dire soldi, droga e prostitute, Belfort alla fine si troverà costretto prima a cercare un modo per trasferire i suoi soldi sporchi all’estero e poi a fare i conti con un agente dell’Fbi deciso a rovinarlo.

Il film è talmente eccessivo, sopra le righe, grottesco che è inutile stare dietro alla trama o alla mancanza di una morale espressa. Meglio sospendere il giudizio e lasciarsi travolgere dalla sua energia e dalla sua potenza. Ma soprattutto dalle eccezionali prove degli attori protagonisti: un Leonardo DiCaprio mai così ispirato che riesce ad essere credibile sia nei momenti più virili sia in quelli più stupidi, un Jonah Hill, vero motore della storia, qui alla sua definitiva consacrazione e un Mattew McConaughey, che in soli dieci minuti resta appiccicato addosso per tutto il film.

Con il suo film più trasgressivo e libero da tanti anni a questa parte, Scorsese dimostra, come se ce ne fosse ancora bisogno, che dobbiamo stare molto attenti quando utilizziamo a sproposito l’aggettivo “scorsesiano”, perchè in pochi possono essere in grado di reggere un tale campionario di scorrettezze filmiche senza andare fuori dai binari e una tale abbondanza di scene madri (in una spunta fuori anche Gloria di Tozzi!) senza risultare ridondante.

Un film, è proprio il caso di dire, «Legen… wait for it… dary!».

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