È il 1981 quando vengono individuati a Los Angeles i primi episodi di contagio da AIDS, un morbo fino ad allora pressoché sconosciuto. Ed è il 1984 quando un tredicenne di nome Ryan White si ammala – infettato in seguito a una trasfusione – e viene emarginato da amici e insegnanti (quel ragazzo diventerà in breve tempo il simbolo della lotta contro la malattia, appoggiato nella sua battaglia anche da molte celebrità, in particolare da Elton John, che al suo funerale lo ricorda con Skyline Pigeon).
Quando a Ron Woodroof viene diagnosticato l’AIDS nell’86, per i medici gli rimangono appena trenta giorni di vita. Woodroof, texano rozzo, omofobo e razzista, con un passato da tossicodipendente e una vita sregolata, non si arrende: spinto nella sua disperata ricerca di una cura a varcare i confini nazionali, giunge a sperimentare dei farmaci alternativi, illegali negli Stati Uniti, che, però, gli permettono di sopravvivere fino al 1992. Oltre ad aiutare se stesso, Woodroof decide di portare quella roba in USA, per tentare di salvare chi, come lui, è affetto dalla malattia. Ed è di questo che parla Dallas buyers club: della disperata resistenza di Ron a ciò che lo sta uccidendo.
Prima di contrarre il virus dell’HIV, il suo atteggiamento nei confronti dell’AIDS era simile a quello di gran parte dell’opinione pubblica: timore, ma anche una sorta di repulsione, poiché convinto che ad ammalarsi fossero solo gli omosessuali. Per uno scherzo del destino un po’ macabro, Woodroof non solo diventa il paladino di tutti quelli che lottano per rimanere in vita, ma è pure al loro fianco per contrastare l’isolamento a cui la massa li condanna. Emblematico, in tal senso, che a spalleggiarlo nella sua impresa ci sia un transessuale (un bravo Jared Leto), anche se il perno dell’azione, però, rimane sempre e solo lui, Ron, a cui Matthew McConaughey regala un fisico minato, emaciato, debole, ma abbastanza forte nello spirito da mettere in piedi l’attività del Dallas buyers club.
Il punto debole e quello forte dell’opera di Jean-Marc Vallée: in entrambi i casi, il suo protagonista. Debole perché forse l’attenzione si concentra fin troppo su McConaughey, a discapito di altri caratteri, come quello di Leto, che, tuttavia, con la sua Rayon ci regala momenti di alta commozione nel corso della vicenda. Forte, perché, sia chiaro, Woodroof non ha di certo inventato la cura miracolosa per sconfiggere l’AIDS, ma di sicuro la sua coraggiosa (e vera) storia è stata un altro piccolo passo in avanti per sconfiggere il muro di omertà e angoscia innalzato intorno a questa grande piaga del ventesimo secolo.