Snowbird – Moon

La tecnologia permette di superare le distanze, ma vuoi mettere il fascino della luna? No, in effetti sarebbe meglio riformulare: la tecnologia supera le distanza e vuoi mettere il fascino della luna? Perché nulla impedisce di tifare per il digitale e, al tempo stesso, struggersi per una meraviglia naturale antica come il mondo. «Ho scritto ogni brano di notte, nella semioscurità, in modo che quello spazio non sembrasse nemmeno il mio soggiorno»: Simon Raymonde, un tempo cervello dell’operazione Cocteau Twins (con il “cuore” Elizabeth Fraser) ed ora metà degli Snowbird, racconta così la suggestione alla base del disco: l’immersione in un mondo notturno, fino a perdere le coordinate.

(Stephanie Dosen)

E però, come è stato assemblato questo Moon? Grazie al web: un oceano separava Raymonde e la vocalist e cointestataria del progetto, Stephanie Dosen. Con il primo in Inghilterra e la seconda in North Carolina, USA, solo la rete, la figlia prediletta dell’evo contemporaneo, poteva permettere di portare a casa il compito. Così è stato: con l’equivalente moderno dello scambio epistolare e del corriere, i due hanno messo insieme undici tracce, in cui le storie consumate in foreste al chiaro di luna della Dosen hanno preso vita grazie alle trame sognanti (elaborate a casa con un pianoforte) di Raymonde.

Un cortocircuito di antico e moderno che, ovviamente, ha qualche parentela con i Cocteau Twins: tuttavia, considerando quanto la storia di Raymonde sia legata a quella della band, le strizzate d’occhio sono molto contenute. Insomma, le atmosfere sono sognanti e “dreamy”, ma gli arrangiamenti tendenti all’indie (ospiti del disco sono Phil Selway e Ed O’Brien dei Radiohead, McKenzie Smith e Eric Pulido dei Midlake, Paul Gregory e Jonathan Wilson) conferiscono a queste ballate dei sapori meno prevedibili.

I heard the owl call my name e All wishes are ghosts sono due perfette entrée: entrambe offrono subito dimostrazione di quanto sia brava la Dosen a tratteggiare perfette armonie vocali. L’atmosfera è bucolica, rurale: Come to the woods e Where fox hides si snodano sinuose, forti di arrangiamenti in cui la componente acustica, quella elettrica e quella sintetica sono perfettamente bilanciate. Pezzi come Charming birds from trees, In loving e Porcelain, oltre che del pallore della luna, risplendono di un talento da consumato artigiano. Merito di Raymonde, certo, ma non sottovalutiamo la Dosen: A lily for the spectre, il precedente disco (2007), era un gran bel lavoro (peraltro prodotto proprio da Raymonde per la sua Bella Union).

Qui si respira quella stessa aria intima, anche se più spettrale, rischiarata dal bel finale elettronico di Heart of the wood. Moon è insomma un gran bel dischetto, che scorre liscio, senza la presunzione di chi può dire “io c’ero quando si scriveva la storia” (Raymonde). La luna brilla, ma per una volta non di luce riflessa. 

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