La pittoresca fauna umana pedinata nel suo ossessivo affaccendarsi fra un aperitivo culturale e una vernice in Addio, Monti è forse la medesima che scalpita alla porta di un “salotto” romano per poter danzare alle spalle di Servillo nella scena più famosa de La grande bellezza il film di Sorrentino candidato all’Oscar. Magari qualcuno è riuscito intrufolandosi, a mescolarsi ai ballerini, eppure il suo desiderio di visibilità cade nel vuoto: impossibile metterlo a fuoco, a tal punto si mimetizza con l’ambiente.
Anche nel romanzo d’esordio di Michele Masneri (1974), giornalista, protagonisti e comparse si vedono solo di scorcio mai a figura intera: non appena un’emozione autentica li inchioda a una potenziale verità, scappano via, abitanti di un universo che ha perso il centro di gravità se mai l’ha avuto. Probabile che l’autore abbia avuto in mente il ritratto satirico dei vezzi di una parte del Bel Paese fatto da Arbasino in Fratelli d’Italia (1991). Il male però deve essere ben più antico, se già Orazio, Seneca e Petronio, ne descrivano i sintomi.
Impossibile fare di Roberto, di sua moglie Camilla, o di uno qualsiasi della cerchia di opinionisti quotati o di attori di fiction, i protagonisti di un romanzo: la loro epopea sentimentale o sociale si sfilaccia in corso di svolgimento tanto che solo il gossip fra due conoscenti in coda al supermercato può esserne fedele rappresentazione. I due testimoni/narratori condividono, assieme al linguaggio depotenziato dalla bulimia di oggetti, la medesima incapacità di autoanalisi dell’umanità di cui raccontano le aspirazioni all’”esserci”: nel fitto intreccio di innamoramenti inutili, di disponibilità erotiche/ letterarie negate o concesse a capriccio o a pagamento, a latitare è la coscienza della sconfitta o del suo contrario. Il frastuono della musica, il chiacchiericcio, le pose studiate, troncano ogni via d’acceso all’io inteso come interiorità.
Da questo punto di vista Addio, Monti ambisce a essere l’aggiornamento obbligato di un’italianità, emotivamente prima che eticamente, depauperata rispetto a quella immortalata da classici quali i Promessi sposi e Ragazzi di vita di Pasolini: a un celebre passo del primo si allude nel titolo, il secondo viene evocato dal quartiere romano del Pigneto “gentrificato”, trampolino di lancio per l’ascesa di un immobiliarista. L’addio ai luoghi natii della Lucia manzoniana è oggi il feulleton di un playboy superdotato lasciato in bagno assieme a delle “candele Diptyque bruciacchiate”.
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