George Stout (George Clooney) è un esperto d’arte al servizio del governo americano nel periodo della seconda guerra mondiale. Durante una riunione con il presidente Roosvelt, chiede di potersi recare in Europa al seguito delle truppe alleate per preservare, recuperare e mettere in salvo le opere che i tedeschi stanno trafugando al fine di esporle in un museo dedicato ad Hitler. Non potendo reclutare giovani studenti d’arte come vorrebbe, Stout è costretto a rivolgersi a suoi amici ed ex-colleghi ormai attempati (in ordine sparso: Matt Damon, John Goodman, Bill Murray, Jean Dujardin). Questi daranno vita a un improbabile plotone: i Monuments men, che una volta nel vecchio continente si dividerà in piccoli gruppi per inseguire i capolavori dell’umanità.
Nelle sue precedenti esperienze come regista Clooney era riuscito a trovare una buona – a tratti eccellente – mediazione tra impegno civile e valore artistico, non risparmiando critiche agli Stati Uniti. Basta pensare a Good night and good luck, film sulla stagione del maccartismo che rinvia in maniera sottile al patriot-act di George Bush, o le Idi di marzo, che ricordava in maniera neanche troppo lontana le dinamiche politiche con cui venne eletto per la prima volta, nel 2008, Barack Obama. Era insomma possibile trovare in questi film una certa sfumatura di giudizi, che imponeva una riflessione allo spettatore sulla società contemporanea senza tralasciare un buon livello cinematografico.
Monuments men invece è un film prima di tutto ampiamente celebrativo, talmente teso a ripercorrere le gesta dei suoi protagonisti da dimenticarsi di raccontarle. La scelta di narrare la storia di 7 personaggi, che si svolge in 2 anni mentre sono in giro per l’Europa, a livello di sceneggiatura equivale a un suicidio. Non sarà mai possibile creare momenti drammatici, per il semplice motivo che non ci sarà mai abbastanza tempo. Succede così che nell’arco di tre scene un architetto passa dal tetto dell’Empire State Building ad imbracciare un fucile contro un soldato tedesco senza la minima esitazione (ma la vera sfida del film è capire cosa diavolo faccia il personaggio di Matt Damon per un anno a Parigi mentre gli altri sono in giro per l’Europa a farsi ammazzare). Allo stesso modo la regia è poco ispirata e pigra.
Monuments men non è un film orribile e in qualche momento di alleggerimento strappa anche una risata ma è in generale poco curato e poco sottile per la storia che racconta. Un grosso passo indietro per George Clooney come regista.