Un produttore non sarebbe tale se non rompesse le scatole. Stavolta, però, Harvey Weinstein sbaglia nettamente nel voler costringere Joon-ho Bong a rimontare per il mercato USA (dove al momento non ancora è uscito) questo Snowpiercer, perché se non è un capolavoro, gli manca davvero poco.
Tratto dal fumetto di Benjamin Legrand e Jacques Lob, Le Transperceneige (di recente arrivato anche in Italia), il film di Joon-ho Bong è incisivo come alla fantascienza non capitava da tempo. Probabilmente non ha l’appeal “pop” di Matrix, ma in un mondo come si deve dovrebbe essere un culto di pari proporzioni. Tanto per cominciare, per lo spunto alla base, già quello decisamente attraente. Nel futuro raccontato da Snowpiercer (il 2031), l’umanità è caduta vittima dei suoi tentativi di combattere lo scioglimento dei ghiacci: il sistema di refrigerazione del pianeta messo a punto nel 2013 ha finito con lo scatenare una nuova glaciazione. I pochi superstiti vivono così su un treno rompighiaccio, lo Snowpiercer appunto, creato dal misterioso Wilford e animato da un motore perpetuo.
La divisione degli uomini all’interno dei vagoni riflette un ordine sociale iniquo, in cui i più poveri occupano gli ultimi posti, preda della miseria e dell’abbrutimento, e i più ricchi gozzovigliano nelle vetture di testa. La situazione, ovviamente, non può reggere a lungo, e Curtis (il sorprendentemente ottimo Chris Evans) si mette a capo di una rivolta che ha lo scopo di condurre il manipolo di disperati fino al primo vagone, quello abitato proprio da Wilford.
Il mondo di Snowpiercer è cupo, claustrofobico e pessimista, come da tradizione distopica. Lo illuminano i lampi di violenza che scandiscono l’inarrestabile ascesa di Curtis e i suoi, protagonisti di una serie di terribili scontri all’arma bianca mentre cercano la loro rivalsa sociale. Bong, dalla sua, ha un formidabile direttore della fotografia, Hong Kyung-pyo, e una maestria tecnica in grado di plasmare lo spazio stretto dei vagoni fino a farne il teatro perfetto di un’azione cruenta, brutale e al tempo stesso coreografata. Su una sceneggiatura scritta assieme a Kelly Masterson e incentrata sul meccanismo dei livelli a crescente difficoltà dei videogame, il regista coreano affresca l’architettura di un mondo fatto di sopraffazione e iniquità, in cui la violenza e la natura fondamentalmente malvagia dell’uomo costituiscono i tratti dominanti.
La polemica sociopolitica, la lotta di classe e la coscienza di una natura aberrante del genere umano non sono ovviamente una novità al cinema: il modo in cui Bong le trasporta sullo schermo, mescolando fantascienza, azione e persino comico e grottesco, è però unico. Non si salva nessuno, qui: Bong ci tiene ad evitare la compassione per gli “ultimi”, rozzi e brutali. Lo stesso Curtis è un antieroe, interpretato per colmo di paradosso da Chris Evans, il Captain America cinematografico. Bravissimi anche Ed Harris, ancora nei panni di un Creatore dopo The Truman Show, e la sua perfida collaboratrice Tilda Swinton.
Snowpiercer, la più costosa produzione sudcoreana, dimostra come i soldi non necessariamente corrompano gli autori e le intenzioni artistiche. Weinstein, fatti un favore: ripensaci.