Ci sono vari livelli per leggere Si sente?, il nuovo libro di Paolo Nori. Da qualunque livello si parta, comunque, ci si ritrova ad imboccare la strada della consapevolezza che scuote dall’abitudine, un po’ come il rumore del treno a cui l’orecchio di chi abita in un appartamento al settimo piano che dà su uno snodo ferroviario non fa più caso. Il treno, in realtà, passa lo stesso, fa il solito rumore, ma noi rischiamo di non sentirlo più. Proprio come con la storia, quella che stiamo attraversando, che fa rumore in questo preciso momento nonostante il nostro orecchio non sia più abituato a sentire. Ecco, il primo livello per leggere questo libro è quello della concentrazione che riporta l’orecchio verso il suono che, nelle pagine, potrebbe benissimo essere quello del concetto di “razza”, a cui Nori dedica il suo primo dei tre discorsi su Auschwitz.
Poco più in là sta il livello della lucidità, che mescolata alla rabbia e al ricordo fa spendere all’autore più di una parola su ciò che vuol dire “vendetta”, su cosa si sia accumulato in tutto questo tempo nelle singole storie di chi ha perso qualcosa o qualcuno, nei campi di sterminio e non solo. E qui parte il terzo livello di lettura, quello dedicato ai luoghi di sterminio, al valore della memoria che attraversa cancelli e treni, che esce come fumo dai camini insieme a frasi di canzoni. Nel terzo discorso Nori si concentra sulla “testimonianza”, su come poter unire, con essa, anche le generazioni tanto distanti tra loro, e con quella testimonianza riaccendere un briciolo di rivoluzione che, secondo l’autore, parte dal vincere la paura. Un livello di lettura per ogni discorso, quindi. Ma non solo.
Esiste tra le righe la possibilità di spostare lo sguardo su come Nori ci presenta il libro: un saggio sul mondo della memoria mascherato dalla narratività di una voce che sembra di ascoltare mentre racconta al pubblico giovane e meno giovane. Trattazioni assolutamente personali che trovano, grazie allo stile di Nori (secco, preciso, puntuale ma al tempo stesso non avaro di parole) basi scientifiche che in realtà non sono così importanti per l’autore. La missione è, appunto, testimoniare, catturare l’attenzione, strabordare al di fuori del microfono, del giorno preciso in cui è stato effettivamente pronunciato il discorso, per invadere le pagine. Un’invasione stilistica, anche, tanto che Si sente? è l’effettiva trasposizione dei discorsi, comprensivi di pause, punteggiature mai troppo rispettate, pensieri che prendono vie infinite. Fregandosene della distanza tra scritto e parlato, Nori mette alla prova il lettore facendolo anche ascoltatore, portandolo al limite della concentrazione. Ecco perché, a volte, il percorso di lettura di questo libro risulta difficoltoso.
(Paolo Nori)
Molti lettori Nori se li perderà per strada, ma è una perdita calcolata, perché chi rimarrà avrà imparato a leggere ascoltando, avrà di nuovo drizzato le orecchie per afferrare ogni minimo rumore della storia. Sono comunque certo che questo non gli impedirà, fin dal prossimo discorso, di domandare “Si sente?”, non tanto perché gli interessi sapere se si sente davvero, ma così, per rompere il ghiaccio «per prendere uno e dirgli Ascolta, hai cinquanta minuti che ti devo dire una cosa? E se la gente risponde, come avete fatto voi, che si sente, vuol dire che ce li avete i cinquanta minuti».
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