Intorno alla leggenda della Torre di Babele sono nate nel tempo diverse varianti, a partire da quella ebraico-cristiana contenuta nel libro della Genesi. Storicamente parlando, si potrebbe trattare della ziqqurat Etemenanki, situata nell’antica Babilonia (corrispondente all’odierno Iraq), che raggiunse il suo massimo splendore grazie a Nabopolassar e, soprattutto, al figlio Nabucodonosor II.
Anche Friedrich Dürrenmatt ha voluto dire la sua sulla costruzione della mitica torre, con Un angelo a Babilonia, pièce in tre atti, scritta nel 1954. Tutto inizia con Nabucodonosor che si traveste da mendicante per convincere Akki, l’ultimo mendicante rimasto al mondo, a redimersi, rinunciando alla pratica dell’accattonaggio, giudicato disdicevole. Nel frattempo, un angelo riceve direttamente da Dio il compito di affidare Karrubi, giovane meravigliosa, al più povero mendicante della Terra. Per una serie di strani equivoci, Nabucodonosor risulta essere il prescelto per Karrubi, ma la rifiuta, pensando che il Cielo si stia prendendo gioco di lui. Il problema è questo: Karrubi è innamorata del mendicante a cui è stata destinata, ma quel mendicante, in realtà, è un re. Lei, però, non accetta di sposare il sovrano. Nabucodonosor abbandonerà tutto per stare con la ragazza? E che cosa c’entra la storia della torre di Babele?
Con il suo solito stile ironico, Dürrenmatt punta il dito contro le mediocrità della società a lui contemporanea, ambientando il tutto in epoche passate, come già aveva fatto con Romolo il grande, altra sua famosa commedia in cui il sovrano di Roma veniva dipinto come un inetto (che, poi, così sprovveduto non era). Dalle opere dell’autore svizzero i potenti ne sono sempre usciti parecchio mal ridotti, derisi, e lo stesso Nabucodonosor si rivela essere un re sciocco, facile preda dei raggiri del furbo Akki. Ruoli che si capovolgono, due re che mutano, a turno, in regnante e il suo sgabello, un mendicante che si trasforma in boia, la grazia divina che diventa vittima, costretta a fuggire tra le sabbie del deserto, mentre un arrogante, piccolo uomo, decide di sfidare il Cielo stesso che l’ha mandata con un’opera mastodontica.
Nemmeno questa volta l’arguzia di Dürrenmatt delude: Un angelo a Babilonia è un’altra, lampante prova della sua pungente e brillante satira, che non smette di smascherare le meschinità nascoste dietro a una facciata di rispettabilità che non tarda a crollare miseramente. La prospettiva di perdere tutto, il denaro o la supremazia, spaventa le autorità cittadine quanto Nabucodonosor, il quale, smessi i panni del celebre condottiero, mostra il volto di un essere misero, così attaccato al suo potere da diventarne un infelice schiavo.
9788871686578