La necrofilia, nel pop, è un dato di fatto. Con la tecnologia che ha fatto passi da gigante, e il business che non vuole mollare la presa, negli ultimi 50 anni è tutto un fiorire di ristampe con inediti o dischi perduti di rockstar passate a miglior vita da un pezzo – per non parlare delle reunion, un altro prodotto del clima di nostalgia perenne che si respira intorno alla musica. Questo per dire che occorre rassegnarsi, l’andazzo è questo, e poi comunque mica tutti i ripescaggi dal classico “cassetto” sono uguali. Out among the stars, il disco “perduto” di Johnny Cash riportato a galla dal figlio, John (che ha anche il cognome della madre, June Carter), è dignitosissimo, e anzi, contiene alcuni ottimi numeri, al punto tale che ad ascoltarlo ci si chieda come mai non sia stato pubblicato quando il “Man in Black” era in vita.
Cash incise i pezzi tra il 1981 e il 1984, durante le session con il produttore Billy Sherrill che lo stesso songwriter, in Cash: l’autobiografia, ricordava come scarsamente produttive. I brani non finirono su disco, la Columbia preferì accantonarli (poi il rapporto tra Cash e l’etichetta si sciolse in favore della Mercury), fino a che, appunto, John Carter Cash non li ha riscoperti di recente, affidandoli alle cure di Steve Berkowitz. Per l’occasione, è stata data anche una verniciatina qua e là, per rinfrescare il sound: uno dei musicisti presenti alle session, Marty Stuart, ha reinciso le sue parti (e suonato il violino), e non sono mancati nuovi contributi, da parte di Buddy Miller e Jerry Douglas.
Tra i pezzi svetta She used to love me a lot (remixata anche da Elvis Costello), una ballad condotta da una chitarra acustica in picking, banjo, qualche tocco di piano e pedal steel. L’aria nostalgica, ovviamente, è il marchio caratteristico (assieme al baritono “vissuto” di Cash) di pezzi come After all, Tennessee, Don’t you think it’s come our time (cantata con June Carter) e I came to believe. Più brillanti dal punto di vista ritmico, invece, sono Baby ride easy, un incalzante country rock, cantato ancora in coppia con la Carter, la trascinante I’m moving on (con Waylon Jennings), If I told you who it was, I drove her out of my mind e Rock n’ roll shoes, in cui, inevitabilmente, affiora comunque quella malinconia che Cash portava sempre con sé.
Ad Out among the stars mancano i picchi delle session per la American Recordings di Rick Rubin (per intenderci, manca una Hurt), tuttavia, la differenza rispetto alle altre pubblicazioni di Cash degli anni ’80 è netta. Ovviamente, non è finita qui: John Carter ha fatto sapere che si sono molte altre canzoni nel proverbiale cassetto che presto potrebbero vedere la luce. Se il risultato è pari ad Out among the stars potrebbe valerne la pena, ma occhio a non tirare troppo la corda della nostalgia…