Peter Ackroyd è l’autore di una nuova biografia sul grande Charlie Chaplin, l’ennesima, visto che ormai sono centinaia le opere dedicate al mitico Charlot.
In realtà, l’opera di Ackroyd ha lo scopo di dimostrare una tesi ben precisa, ossia che tutte le sue mille contraddizioni furono lo specchio di un’infanzia infelice, priva di affetto, segnata dall’abbandono da parte della madre. Che Chaplin sia stato un genio un po’ eccentrico è noto a tutti: brillante e crudele contemporaneamente, tenero e feroce, amante quasi compulsivo, visto il numero di donne che ha avuto.
Ma chi fu Hannah, la madre di Chaplin? Un’attrice e cantante e, secondo Ackroyd, all’occorrenza anche una prostituta, costretta a vendersi per mantenere se stessa e il bambino. Chaplin è il cognome di un uomo, che morì d’alcolismo a soli 39 anni, ma che diede il suo cognome ai figli di Hannah, anche se non era il loro padre. Ad un certo punto, non potendo più badare a loro, la donna abbandonò i suoi figli in un orfanotrofio. Chaplin, in seguito, confessò che a tenerlo in vita in quegli anni fu la convinzione che un giorno sarebbe diventato un grande attore. Poi, nel 1903, una notizia che mise per sempre fine alla sua infanzia: la madre, che ogni tanto si faceva ancora vedere, impazzì. Venne ricoverata in un manicomio e vi restò per circa vent’anni.
Il resto è storia: Chaplin venne scritturato da una compagnia teatrale e da lì prese il via quella che sarebbe stata una folgorante carriera. Al successo si aggiunsero le donne (che l’artista preferiva piuttosto giovani) e la stessa Paulette Goddard, compagna di Chaplin per otto anni, dichiarò che l’uomo era un amante particolarmente focoso. Sembra che le frequentazioni femminili siano servite a riempire un vuoto, quello della madre assente, ma che questi rapporti non siano sempre stati facili, segnati da scenate di gelosia e maltrattamenti.
Una volta a Chaplin venne chiesto quali caratteristiche dovesse avere la sua donna ideale. Lui rispose: «Deve essere una che io non amo del tutto, ma che è totalmente pazza di me».