All’inizio degli anni Novanta tre bambini scomparvero nel nulla. Vennero ritrovati alcuni giorni dopo, seviziati e uccisi. I sospetti si concentrarono quasi subito su tre adolescenti, poi passati alla storia come i “tre di West Memphis”, i classici emarginati a causa di comportamenti un po’ ambigui. Le prove a loro carico non erano poi così solide, eppure le condanne non tardarono ad arrivare. Addirittura, per uno di loro, Damien Echols, venne stabilita una sentenza di morte. I tre hanno passato diciotto anni in carcere. Poi, nel 2011, la riapertura del caso e le nuove prove a favore dei galeotti: i tre di West Memphis vennero rilasciati, ma, in accordo con i pubblici ministeri, furono costretti, pur professandosi innocenti, a proclamare comunque fondate le accuse contro di loro, per evitare che potessero richiedere un risarcimento allo Stato, per gli anni trascorsi in carcere (un accordo aspramente criticato, anche perché i tre sono stati effettivamente riconosciuti non colpevoli).
Una storia, quella dei tre di West Memphis, che Atom Egoyan ha voluto approfondire in Devil’s knot, in questi giorni nelle sale. Protagonisti Reese Witherspoon, nei panni della madre di uno dei tre ragazzi scomparsi, e Colin Firth, in quelli di un investigatore privato.
Prima dell’opera di Egoyan, sono stati girati dei documentari su questo caso, la cui repentina chiusura ha suscitato non poche perplessità, tanto da scatenare la massiccia mobilitazione di molte star di Hollywood e della musica, da Johnny Depp a Eddie Vedder e Peter Jackson. Non solo, perché oltre ai lavori cinematografici, la mole di materiale sull’argomento con cui Egoyan si è dovuto confrontare è impressionante: registrazioni, filmati, testimonianze, tre accusati inquieti più che inquietanti. Una storia che pare soprattutto una caccia alle streghe in un piccolo paesino della provincia americana, bigotto e moralista, pronto a puntare il dito contro qualcuno con troppa facilità.
Il risultato finale è piuttosto buono: il film è avvincente e chiaramente si presta a un’importante riflessione, poiché non è detto che dichiarare innocenti i tre di West Memphis sia stato sufficiente a eliminare il tarlo del sospetto dalla mente di tutti. Quella di Damien Echols, Jessie Misskelley Jr. e Jason Baldwin non è finzione, ma realtà e, a quanto pare, le uniche accuse erano basate sull’aspetto fisico, su vestiti e tagli di capelli strani e atteggiamenti equivoci. Se nessuno è colpevole fino a prova contraria, in questo caso la “prova contraria” non era inconfutabile e non giustificava certo vent’anni di reclusione («Meglio un colpevole libero che un innocente in carcere»). Se poi aggiungiamo alla giovinezza rubata pure la diffidenza e il dubbio, anche solo di una piccola parte dell’opinione pubblica, è giusto dire che il futuro dei tre di West Memphis è comunque, in parte, compromesso.