McG – 3 days to kill

La vera missione impossibile che si trova ad affrontare l’agente segreto Ethan Renner non è catturare il solito superterrorista o sconfiggere il cancro che lo condanna a pochi mesi di vita. No, è piuttosto fare il padre e il marito. Ethan, infatti ha una moglie, Christine (Connie Nielsen), e una figlia adolescente, Zoey (Hailee Steinfeld), che per colpa del lavoro ha dovuto trascurare e che ora, complice la malattia, cerca di riconquistare.

 

Dall’ennesima variazione sul tema del genitore superimpegnato, che agli affetti ha anteposto la carriera e che, alla fine, va alla ricerca di una redenzione, arriva questo 3 days to kill, diretto da McG (Joseph McGinty Nichol) e co-sceneggiato da Luc Besson (con Adi Hasak), che ne è anche il produttore. Il che dovrebbe farvi capire parecchie cose sull’alternanza di toni e l’inverosimiglianza della storia. 3 days to kill mescola infatti azione, spy-story, commedia, dramma con il solito tono fracassone ed irriverente a cui il regista francese ci ha abituati (vedi TakenTaxxi e The transporter).

 

Il risultato, però, è divertente solo in parte. Il racconto di 3 days to kill difetta proprio nell’amalgama dei toni, trovando peraltro solo in alcuni casi delle invenzioni realmente interessanti (la sequenza di sparatoria in apertura, il montaggio parallelo tra la lezione in bici e la seduta psicanalitica di Zoey). Per lo più, la pellicola procede in modo assai prevedibile: in fondo, è pur sempre la storia di un uomo che ha dato priorità al lavoro a scapito degli affetti, un copione che, in forme tragiche o ironiche, al cinema abbiamo visto spesso.

 

 

Renner è interpretato da Kevin Costner, il che è un altro motivo di interesse di 3 days to kill: per uno che ci ha abituati, nel corso della sua carriera, a ruoli romantici, malinconici o di cowboy, recitare in un film spudoratamente action non è propriamente scontato. Anche qui, dunque, l’idea era creare un cortocircuito che, tuttavia, alla fine si rivela innocuo, per lo più fine a se stesso. Peccato, perché Costner, quando non banchetta con tonni in scatola in improbabili spot nostrani, è anche bravo. Il suo Ethan non dovrà solo riconquistare moglie e figlia, è alle prese anche con la fatidica “ultima missione”: catturare un terrorista soprannominato The Wolf. La ricompensa non sarà solo la pace nel mondo, ma la sua stessa vita: Vivi (Amber Heard), il sicario della CIA che lo ingaggia, gli promette a lavoro concluso un farmaco sperimentale per il cancro, che potrà permettergli di guarire e dunque di trascorrere più tempo con Zoey e Christine.

 

3 days to kill, alla fine, è come uno di quei piatti assortiti con tanti stuzzichini diversi: ognuno prende quello che gli piace di più, è difficile che uno faccia incetta di tutto. Uno spuntino, insomma. Per saziarsi davvero, serve ben altro, tutto quello a cui la pellicola di McG, per ambizione supportata da un talento discontinuo, a tratti perfino maldestro (le scene di tortura con tanto di siparietti ironici), ha deciso di rinunciare.

 

 

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