Bloccato per quasi sei anni dagli esercenti per via di una misteriosa “battaglia legale che ne ha impedito la distribuzione”, arriva nelle calde (e deserte) sale italiane l’esordio dietro la macchina da presa del celebre sceneggiatore di Essere John Malkovic e Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Charlie Kaufman.
Caden Cotard (uno straordinario Philip Seymour Hoffman, la cui performance non fa che aumentare il dolore e il rimpianto) è un regista teatrale la cui carriera volge lentamente verso il declino. Una mattina come tante, si sveglia, si guarda allo specchio e si rende conto dell’inspiegabilità della vita. Cominciano per lui una serie di strane malattie e la convinzione, in un delirio ipocondriaco, di essere vicino alla morte. Per far fronte a questo malessere decide così di allestire una grandiosa opera teatrale che riesca a catturare l’essenza dell’essere umano. Nel frattempo viene lasciato dalla moglie e dalla figlia, trova un altro amore ed infine si risposa con una terza donna dalla quale ha una bambina. Ma gli anni passano e il sogno di raggiungere la verità attraverso la sua rappresentazione teatrale si è trasformato in un cortocircuito in cui tutti, in un processo sineddottico, interpretano qualcun altro. Ne uscirà in punto di morte, rendendosi conto che la vita non si spiega cercando di sostituirla con qualcun altro ma accettando come essa sia spesso senza senso.
Una creatività debordante, quella di Charlie Kaufman, che fino ad ora era stata sempre “contenuta” dai registi con i quali aveva collaborato. Così, in questo inedito ruolo da regista, Kaufman è libero finalmente di sprigionare tutto il suo talento e i suoi chiodi fissi, che poi sono gli stessi che negli anni quei registi avevano riprodotto per lui. Ma questa volta la sensazione, sebbene molto spesso risulti confuso e caotico, è che Synecdoche, New York rappresenti il suo lavoro più intimo e personale ed allo stesso tempo più sincero e diretto, senza cioè quei vezzi autoriali e quelle impalcature visive del Gondry o del Jonze di turno.
Pochi autori hanno messo in scena le contorsioni e le capriole della mente umana e hanno saputo “raccontare” le ossessioni e le visioni dell’essere artista come Kaufman. Nessuno come lui è riuscito a filmare il processo creativo, il flusso di pensieri che precede l’opera d’arte e tutti i problemi legati alla famiglia, alla salute, al lavoro, all’amore che necessariamente fanno parte di esso. Il risultato è sempre folle, disordinato, antinarrativo. Ma solo perchè così lo è anche la mente stessa.
Un film che diventa quasi una confessione di una mente pericolosa. Un percorso doloroso di autoanalisi. Un racconto sul modo in cui diamo forma ai nostri pensieri. Una rappresentazione visiva di ciò che significa essere Charlie Kaufman.