Sono passati trentaquattro (34) anni dal primo album dei Pretenders, eppure quella voce rimane sempre uguale. Forse ha perso un po’ di sfrontatezza, Chrissie Hynde, e certo è meno acerba, ma la vibrazione che risuona in You or no one, il pezzo di apertura di questo Stockholm, è la solita. Peccato, però, che le canzoni non siano stavolta all’altezza. L’idea, per questo suo primo album solista, era realizzare «un disco di power pop che si potesse danzare – un mix di Abba e John Lennon». Ne è venuta fuori una raccolta di ballate magari a tratti pure suggestive, ma sempre un pelo troppo scialbe.
L’impressione è che la collaborazione con Björn Yttling dei Peter Bjorn and John, che ha prodotto il disco e con cui la Hynde ne ha scritto tutti i brani (tranne Like in the movies, firmata assieme a Joakin Åhlund dei Caesars), e la presenza di Neil Young e persino di John McEnroe alle chitarre non abbia aggiunto particolare sostanza alle tracce, al massimo qualche nota di colore. Young, ad esempio, compare in Down the wrong way, con la sue sei corde meravigliosamente distorta a farla da padrone, che accresce la grinta del pezzo (a proposito, fulminante l’incipit: «I have become what I criticize») anche grazie ad un assolo dei suoi. Ma sembra un pezzo di Young reinterpretato dalla Hynde, e invece dovrebbe essere al massimo il contrario.
In A plan to far, in cui la chitarra invece la imbraccia la litigiosissima leggenda del tennis McEnroe, siamo sempre dalle parti del country rock, riverberi e distorsioni che colorano un pezzo che soffre forse per un andamento eccessivamente melodico. Sulla stessa linea monocorde (malgrado i beat sintetici) prosegue House of cards, un po’ loureediana. Meglio, a questo punto, Dark sunglasses, il primo singolo, più pop e con un refrain accattivante, e la conclusiva Adding the blue, una dolente ballata guidata da una chitarra acustica in cui il tema portante è quello del ricordo di un amore finito.
È, quest’ultimo, il momento in cui la Hynde dismette i panni della dura e si lascia andare, e Stockholm, come per magia, acquista più sostanza. Insomma, Adding the blue mostra forse quale direzione avrebbe dovuto imboccare questo primo tentativo solista della leader dei Pretenders. Poco male, comunque: ad una che ha scritto Brass in pocket, I’ll stand by you e Don’t get me wrong, si perdona tutto, anche una gita in Danimarca non proprio memorabile…