Parte stasera, con il primo dei tre concerti allo Stadio Olimpico di Roma, il tour negli stadi di Vasco Rossi. Il rocker di Zocca, che ha pubblicato da poco il suo novo singolo, Dannate nuvole, antipasto di un disco che dovrebbe vedere la luce nei prossimi mesi, si è concesso per l’occasione a Vanity Fair, con una copertina e un intervista che arriva oggi nelle edicole.
L’ultima volta che il giornale gli aveva dedicato una cover, tre anni fa, Rossi era ancora in convalescenza, dopo una infezione che ne aveva messo a repentaglio la vita. In quel periodo, aveva sposato anche la sua attuale compagna, Laura Schmidt. «L’ho fatto per metterla tranquilla, per motivi burocratici, perché bisogna far così. La fede non la porto, ma solo perché ho il terrore degli anelli», spiega. E su questa sua singolare fobia, aggiunge: «È vero. Colpa di un racconto che mi fece mio padre quando ero piccolo. Mi disse che un tizio si era strappato un dito saltando giù da un camion perché l’anello era rimasto impigliato da qualche parte. Ma, comunque, la fede la porto sempre con me in una borsina, è il mio portafortuna».
Il “Live Kom 014” partirà stasera e si estenderà complessivamente per altre sei date, due all’Olimpico (26 e 30 giugno) e quattro al San Siro di Milano (4, 5, 9 e 10 luglio). Il tutto a distanza di 24 anni dal primo live di Rossi in uno stadio, il 10 luglio del 1990, proprio al San Siro. All’epoca, spiega il cantautore, «gli stadi li facevano solo gli stranieri, noi italiani suonavamo nelle grandi discoteche o alle feste dell’Unità. Alla fine degli anni Ottanta ricordo che feci 15 mila persone a Reggio Emilia. Pensavo di aver raggiunto il massimo». E invece no: il nuovo tour porterà Rossi a suonare complessivamente davanti a 400mila spettatori.
Numeri impressionati, che fanno il paio con i fan su Facebook (più di 3 milioni e 800) e i follower su Twitter (oltre 518mila). Stuzzicato dall’intervistatore, che sottolinea come ci siano tutte le condizioni per creare un movimento politico (il «partito del Komandante»), Rossi declina l’invito, anche se non rinuncia a dire la sua sull’attuale situazione politica. «In Italia bisognerebbe cambiare praticamente tutto. Intanto la burocrazia: farraginosa, costosa e inefficiente». E su Renzi: «si muove bene, sa comunicare, ha portato in politica una generazione di giovani. Sono contento che stia cercando di dare una sterzata, anche se ho il dubbio che siamo al punto in cui la macchina va fuori strada comunque». Altre cose da cambiare? «I processi sono troppo lenti. Un Paese dove la giustizia non funziona è nelle mani della malavita. Sa che c’è? Che la politica o la fai o stai zitto, perché è lo stesso che discutere di calcio davanti alla TV: non serve a niente, visto che l’allenatore non siamo né io né lei. E poi meglio cambiar discorso sennò finisco nei guai. Già l’estrema sinistra mi odia».
«Non ho mai cantato “Bandiera rossa la trionferà” – spiega Vasco -. Ma io non sono un militante, sono un artista libero e indipendente. Quando ho partecipato al concerto del 1° maggio nel 2009, venni a sapere che stavano organizzando una contestazione contro di me, contro Vasco venduto al potere, stronzate del genere. È finita che non li ha sentiti nessuno, perché erano solo quattro deficienti». Le contestazioni, però, non sono mai mancate e non mancano tutt’ora: «Fino a due o tre anni fa, – rivela Rossi -, non mi ero mica accorto che sotto i video di YouTube c’erano i commenti. Un giorno, leggo: “Spero che ti venga un ictus vecchio drogato di merda”. Non c’ho dormito una notte. Poi mi sono detto: “Vecchio, be’, non posso certo dire di essere giovane. Drogato lo ero vent’anni fa, se lo ero, perché sono sempre stato un tossico indipendente, nel senso che l’eroina non l’ho mai toccata. Diciamo che ho fatto le mie esperienze, non me ne vanto, ma neanche me ne vergogno. Quanto all’ictus, anch’io spero che mi venga”».