Mariah Carey – Me. I am Mariah… the elusive chanteuse

Mariah Carey ha 44 anni. Artisticamente parlando è in giro da più di 20: ha pubblicato 13 dischi, ha infilato 18 singoli alla numero 1, ha vinto 6 Grammy e ha un’estensione vocale di 5 ottave. Dite un record, e lei l’ha battuto. Tutto questo per dire che da una come Mariah non ci si aspetta più nulla, o quasi: potrebbe campare con le residency a Las Vegas, come una Celine Dion qualsiasi, o sparire nel nulla come una Janet Jackson. E invece no.

La Carey insiste ancora con il Photoshop sulla copertina dei dischi (come non lo sapessimo che ha avuto due figli) e, a giudicare da Me. I am Mariah… the elusive chanteuse, si sforza ancora di aggiungere qualcosa al suo repertorio. Riuscendoci bene, per altro. Il disco è una specie di concept, biografico e “d’ambiente” al tempo stesso: il racconto «degli alti e bassi che mi hanno resa ciò che sono» e anche un viaggio nella musica soul, dall’epoca classica della Motown agli anni ’90. Non a caso, il marito della Carey, Nick Cannon, ha rivelato che le fonti d’ispirazione per il disco sono state i primi due album della moglie, l’omonimo del 1990 e Emotions del 1991.

La nostalgia è una delle componenti alla base dell’operazione, da quella per un amore perduto a quella per le belle canzoni old school (You’re mine, Dedicated). Difficile definire un pezzo come Cry, una ballad pianistica tra soul e gospel, “moderna”; pure la melodia r&nb di #Beautiful, malgrado il titolo-hashtag che fa tanto 2.0, sa decisamente di “vecchia scuola”. Nella scaletta, che conta in tutto 15 pezzi (più tre bonus), ci sono anche un George Michael del periodo immediatamente post-Wham (One more try), l’omaggio alla golden age dell’hip hop di Dedicated (che contiene un sample di Da mistery of chessboxing del Wu-Tang Clan), lo scintillante numero disco di Meteorite, il gospel Heavenly (No ways tired/Can’t give up now).

Tutto questo, però, non sa di muffa: sa di classico. Me. I am Mariah… the elusive chanteuse, con le sue ritmiche vagamente inquiete, l’atmosfera sospesa, il minimalismo degli arrangiamenti, definisce una nicchia confortevole, nella quale ritrovare e rinfrancarsi con i vecchi amici. È un disco decisamente familiare: chi conosce Mariah Carey, ci trova tutti gli elementi della sua musica; chi non la conosce e non è a digiuno di soul, può trovarci featuring, sample e citazioni più o meno preziosi. Il fascino è quello di un’operazione personale (Supernatural) carica di sottotesti: se da un lato, la “chanteuse evasiva” sfoglia l’album delle foto, dall’altro l’incanto dei ricordi che evoca è la benzina perché queste canzoni riescano a non soffocare nella loro autoindulgenza e a crescere subdolamente, ascolto dopo ascolto.

Una Mariah assai meno scontata di quanto non sembri, insomma. A questo punto, le si perdona persino il Photoshop.

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