Il lavoro nobilita l’uomo? Certamente non nel contesto raccontato da Elio Petri nel suo La classe operaia va in paradiso, film nel quale il lavoro semmai debilita l’essere umano, riducendolo ad una sorta di bestia meccanizzata. Impossibile non considerare la connotazione politico/ideologica del film, così come non può essere ignorato il contesto storico: dopo Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, che descriveva con tono caricaturale il fenomeno dello stragismo di Stato, Petri rivolge il suo cinema (qui diviso tra il genere politico ed il grottesco) verso il clima di contestazione dei primi anni ’70, indagando il rapporto tra operai, imprenditori e forze sindacali: in Indagine si osservava la “nevrosi” del potere, qui si affronta invece la nevrosi del lavoro, narrata con un realismo non privo di cinica ironia.
Figura protagonista del film è Ludovico “Lulù” Massa (interpretato da uno snervato Gian Maria Volonté), lavoratore a cottimo presso una fabbrica del settentrione. Massa, nonostante sia cosciente dello sfruttamento al quale sono soggetti gli operai («Io sono una puleggia io sono un bullone io sono una vite…»), lavora sodo per aumentare la produzione, tanto da essere considerato un modello stacanovista. Gli slogan di sindacati e studenti, gridati fuori dai confini della fabbrica, lo lasciano inizialmente indifferente, ma le cose cambiano a seguito di un incidente sul lavoro, che gli causa la perdita di un dito.
L’evento lo porterà ad avvicinarsi alle posizioni degli studenti di sinistra, i quali richiedono per i lavoratori ritmi meno alienanti e un maggiore salario, denunciando in primo luogo l’iniquità attuale del cottimo (all’aumento della produzione non corrisponde un incremento salariale). Petri non si ferma però alla sola valutazione della vita in fabbrica: il disagio dell’operaio viene individuato soprattutto nella sfera privata e Lulù sente maggiormente l’alienazione proprio nel rapporto arido con il figlio e con l’amante (Mariangela Melato). Con lei scopre che una delle tante cose perdute nel mutamento in “uomo-macchina” è la libido, che sembra emergere solo durante il turno in catena di montaggio: questo è ormai il solo ambiente capace di creare stimoli in lui.
Ma protagonisti del film sono anche contestazioni, scioperi e megafoni pronti a riversare sulla folla motti intrisi di intellettualismi e ideologie non sempre colti dagli interessati, gli operai. La rappresentazione di Petri non ha fatto felice le sinistre, che hanno rifiutato di accettare il personaggio di Massa perché dissimile dal loro modello marxista di operaio rivoluzionario (lui è addirittura soggetto a materiali tentazioni borghesi), un modello che però, la storia insegna, non era in realtà così comune (diffusi erano invece i “crumiri” ovvero i lavoratori non partecipanti alle manifestazioni sindacali). Petri, sfruttando al meglio la maschera del camaleontico Volonté, critica la condizione esasperante dell’operaio, ma allo stesso tempo mette in ridicolo l’operato dei sindacati e l’eccessivo intellettualismo di certi universitari, troppo lontani dalla realtà della fabbrica.