Mimì metallurgico ferito nell’onore segna la prima importante collaborazione della regista Lina Wertmüller con la coppia formata da Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, un duo di attori vincente, come dimostra questo film (uno dei maggiori successi della regista), nominato per la Palma d’oro, ed una serie di pellicole successive, aventi tutte in comune una forte bipolarità costruita sulle personalità antitetiche dei personaggi interpretati dalla coppia.
Una bipolarità che, nel cinema della Wertmüller, si manifesta nella divisione, grottescamente stereotipata, tra Nord e Sud d’Italia: al passionale Giannini spetta il ruolo di stereotipico uomo meridionale, alla fredda Melato quello di moderna donna settentrionale. La rappresentazione delle due macrorealtà italiane è palesemente eccessiva, come prevede lo stile vernacolare favorito della regista; l’effetto non può allora che essere grottesco e quindi comico, seppur spesso adombrato da alcuni aspetti meno ottimistici che non possono condurre al tradizionale lieto fine.
Il film racconta il piccolo dramma, umano e sentimentale, di Carmelo “Mimì” Mardocheo (Giannini), operaio siciliano sposato e costretto a cercare lavoro al Nord dopo aver rifiutato di cedere il proprio voto elettorale ad un malavitoso. A Torino viene assunto presso un’industria metallurgica e conosce Fiore (Melato), donna dai forti ideali di sinistra della quale si innamora. Lei gli dà un figlio ma Mimì non può stabilirsi nemmeno nell’operoso Nord ed è costretto a tornare in Sicilia con la compagna: anche a Torino viene infatti perseguitato dalla famiglia mafiosa siciliana Tricarico per aver assistito ad alcuni loro atti illeciti. A Catania si trova invece a dover affrontare la moglie, la quale però nel frattempo è andata a letto con un brigadiere: il disonore costringe Mimì a cercare vendetta, tornando a compromettersi con i mafiosi.
Mimì metallurgico si rivela un film originale, capace di interpretare con tocco personale i canoni della commedia all’italiana (basata su questo tipo di triangoli sentimentali) e del cinema grottesco, con un contesto di fondo degno di un certo cinema politico: tra lotte sindacali del Nord e lotte di mafia al Sud, il film fornisce un buon quadro dell’Italia degli anni ‘70. Ottima è la regia, ma il film vive soprattutto dell’eccezionale interpretazione dei due attori protagonisti, capaci di prendersi gioco della bipolarità geografica (ma anche culturale) italiana sfoggiando senza riserve l’appropriata parlata dialettale ed accentuando i difetti del proprio provincialismo.
La distanza tra Mimì e Fiore è però essenzialmente misurabile in chilometri e non riguarda il ceto. La Wertmüller si spingerà oltre con Travolti da un insolito destino, accentuando questa volta l’appartenenza dei due protagonisti a classi diverse, ma sfruttando lo stesso fortunato procedimento di questo primo film, ossia affidando allo stereotipo la funzione comica e cercando sempre nell’elemento erotico-sentimentale il legante alla divergenza tra mentalità lontane, quali la meridionale e la settentrionale.