Un paio di giorni fa è apparso sulla Stampa un articolo in cui lo scrittore Paolo Di Paolo attaccava duramente Elena Ferrante, particolarmente apprezzata negli Stati Uniti.
Sono anni che ci si interroga su chi ci sia dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante, se un’autrice o, come è stato spesso ipotizzato, un autore. Nel pezzo Di Paolo ha affermato: «La forza di Ferrante è, più che nei suoi libri, nel suo non esserci, la sua distanza abissale da tutto: nessuno l’ha mai vista, nessuno l’ha mai intervistata di persona, nessuno l’ha mai incrociata per caso, come perfino al vecchio eremita Salinger era accaduto al supermercato. Non se ne ha nemmeno una foto giovanile, come dell’altro grande solitario Thomas Pynchon».
La stampa USA ha particolarmente elogiato la scrittura della Ferrante, ma Di Paolo è piuttosto scettico: «C’è qualcosa che non torna; qualcosa, diciamolo pure, di sproporzionato. Ai lettori e critici americani i romanzi di Ferrante piacciono perché le trame sono oliate, la mano narrativa è solida, la lingua piana, e Napoli, quando c’è, è un fondale che non impegna troppo, sta lì come una stampa turistica con Vesuvio e golfo. Si fa leggere con partecipazione emotiva, le sue vicende sono traghettabili ovunque: una separazione dolorosa nei Giorni dell’abbandono; una scrittrice di successo, che guarda caso si chiama Elena e con un romanzo «osceno» irrita il piccolo mondo da cui proviene, nella Storia di chi fugge e di chi resta. È dunque «universale» Elena Ferrante?».
In sostanza, dove sta la critica? Nell’uso dello pseudonimo, che per Di Paolo è un gioco che non può durare per vent’anni: «Qualcuno obietterà che il gioco degli pseudonimi in letteratura è lecito. Sì, ma è raro che stia in piedi per più di vent’anni. E comunque, in quanto gioco, è infinitamente meno interessante di una vita, di una faccia, di un’esperienza reale. Si può restare appartati senza diventare fantasmi. Così la letteratura somiglia a un software che produce storie, o al canovaccio di una impeccabile ma algida serie tv. Così, la letteratura italiana – in America e non solo là – rischia di restare senza volto». Siete d’accordo? A questo link il pezzo integrale sulla Stampa.