«Qualsiasi tragedia umana ha sempre un epilogo: tutto, alla fine, tornerà normale. Come i prati». Sono queste le parole utilizzate da Ermanno Olmi per spiegare il titolo del suo ultimo film, Torneranno i prati, in sala da questo giovedì.
Un film che racconta la Prima Guerra Mondiale e in particolar modo la situazione del fronte Nord-Est italiano dopo gli ultimi sanguinosi scontri del 1917 sugli Altipiani e che il regista, ricoverato tutt’oggi all’ospedale per una sospetta polmonite, ha voluto dedicare a suo padre, che fu bersagliere durante la grande guerra.
«Quando mi è stato chiesto di realizzare il film il pensiero è andato subito a mio padre e alla sua vita di soldato durante la Guerra del ’15-’18 – ha detto Olmi – Al tempo avevo dei suoi racconti una percezione “da bambino”. Ma poi ho pensato che il compito da assolvere fosse quello di raccontare il grande tradimento fatto nei confronti di quelle persone che sono morte e non hanno mai saputo perché. A loro bisognerebbe chiedere scusa. I loro veri nemici non erano nella trincea di fronte a loro, ma in chi ha perseguito sempre la stessa logica: il potere e la ricchezza sempre per più pochi. Come diceva Camus, se vuoi che un pensiero cambi il mondo prima devi cambiare te stesso».
Il film, strutturato in tre parti secondo le tre fasi della guerra (relazioni umane, apprendimento e allucinazione) ha come protagonista Claudio Santamaria, che ha detto: «Lavorare con Olmi è come lavorare con il Dalai Lama. Quello che ha fatto è un film non sulla guerra ma sul dolore della guerra. Voleva vedere gli attori stare a contatto con la parte più poetica di se stessi. Avere la coscienza chiara di essere in una condizione in cui si poteva morire da un momento all’altro».