«Non sono mai stato sicuro che la morale della storia di Icaro dovesse essere: “Non tentare di volare troppo in alto”, come viene intesa in genere, e mi sono chiesto se non si potesse interpretarla invece in un modo diverso: “Dimentica la cera e le piume, e costruisci ali più solide”». È in questa citazione di Stanley Kubrick che da sempre il cinema di Christopher Nolan si trova a dover fare i conti. Perchè Nolan non è Kubrick e le sue ali non sono così solide come quelle del regista di 2001: Odissea nello spazio. E quindi, se davvero non si è in grado di costruire ali più solide non è meglio accettare la cera e le piume e tentare romanticamente di volare lo stesso più in alto? Non è molto più bello sognare di farcela con i propri mezzi che infrangersi malamente sotto il peso di altissime ambizioni?
Che poi è un pò quello che succede al protagonista di Interstellar, Cooper (Matthew McConaughey, sempre bravissimo) una sorta di alter ego del regista che sogna “la galassia invece della polvere”. La terra infatti ha ormai esaurito le riserve di cibo ed è diventata inospitale. L’unica speranza per il genere umano sarà proprio nelle mani di Cooper, che insieme ad altri scienziati si lancerà, attraversando le coordinate spaziotemporali di un wormhole, alla scoperta di un nuovo pianeta da abitare.
In una sceneggiatura così arzigogolata è normale quindi che si formi qualche buco. L’errore di Nolan allora non sta tanto nell’implausibilità di certe scene (e ce ne sono diverse), ma nel voler a tutti i costi spiegare razionalmente ciò che invece avrebbe bisogno solo di essere mostrato. Allo spettatore poco importa di sapere tutto, non ha bisogno di “spiegoni”, teorie e ipotesi, anche perchè il messaggio, in fondo, è semplicissimo. È questo il limite del film (come lo era in misura ancora maggiore in Inception), ovvero quello di creare un impalcatura narrativa all’interno della quale lo spettatore non ha nessuna voce in capitolo, di dare cioè risposte definitive più che sollevare interrogativi. Lo spettatore non esiste nei film di Nolan, perchè è il regista, in quanto unico possessore della verità, a dargli una forma, a plasmarlo secondo il suo volere, a guidarlo nella visione secondo una logica precostituita.
Una logica dalla quale tuttavia si schiudono momenti di grande potenza drammatica (come l’addio di Cooper alla figlia o il dialogo tra lui e la dottoressa Brand sull’amore, tutti supportati dalle splendide musiche di Hans Zimmer) e che per un attimo ci lasciano intuire come sarebbe potuto essere. È grazie a questi frammenti e a tutta la splendida prima parte, che ad un certo punto, quasi inconsciamente, accettiamo di farci condurre dal regista in questa viaggio ai confini dello spazio. Perchè anche se è un cinema in cui si avverte continuamente la scrittura, alla fine ci lasciamo immergere in questa logica creata ad arte dal regista. Ci sentiamo prigionieri, e non possiamo farci nulla.