Niccolò Ammaniti lo conosciamo tutti abbastanza bene: è stato l’autore di Come Dio comanda (Premio Strega 2007), Io non ho paura, Branchie, solo per citare tre suoi titoli. Se alcuni libri sono stati portati al cinema da altri registi (come nel caso di Come Dio comanda da Salvatores, qui la nostra recensione), ora tocca proprio a lui, ad Ammaniti, a esordire dietro la macchina da presa. Il suo progetto s’intitola The good life e si tratta di un documentario interamente girato in India, pubblicato da Feltrinelli nella sua collana di dvd.
A Nanni Moretti, Ammaniti ha raccontato: «Sono uno scrittore non un regista. La prima volta che andai in India avevo vent’anni. Era il 1991, ero un giovane romano, nato e allevato in una famiglia borghese e progressista. Avanzavo nella vita con poche idee confuse in testa e tutta l’esistenza davanti. Sognavo di viaggiare e conoscere il mondo, ma al massimo mi spingevo la notte a Fiumicino a vedere dalla macchina gli aerei decollare». L’impatto con il mondo indiano non fu facile, ma proprio lì avvennero degli incontri importanti «con una serie di italiani emigrati lì negli anni ’70. Erano curiosi, nostalgici, però allo stesso tempo soddisfatti. Si ricordavano dell’Italia com’era vent’anni prima, quasi fosse un periodo congelato nel tempo. Da allora mi è sempre rimasta la voglia di raccontarli».
Sono passati anni prima che l’idea prendesse concretamente forma. The good life è diviso in tre storie, di tre italiani che hanno scelto l’India per ricominciare. Le tre vite raccontate sono quelle di Baba Shiva Das, partito da Vicenza per trovare la sua dimensione a Varanasi; Eris, trevigiano, che con la moglie Francesca e cinque figli ha girato il mondo, prima di fermarsi nella regione dell’Himalaya, dove ora costruisce case con undici ragazzi, salvati dalla strada e adottati; infine, Baba Giorgio, fuggito da Torino in autostop a quattordici anni.
Nostalgia per il Belpaese? Ecco cosa ha detto Baba Shiva Das: «L’Italia è uno dei posti più belli al mondo. E sono furioso, perché ci vivrei benissimo, ma non posso starmene in una grotta: nel giro di dieci minuti avrei Carabinieri, Finanza, antiterrorismo. L’Italia mi ha tolto il mio modo di essere, di vivere ed esprimere me stesso». E Erin: «Non volendo allevare polli in batteria, ma figli, ai miei ragazzi ho scelto di dare il potere dell’intuizione, che il nostro sistema scolastico uccide» (fonte ANSA).