La profonda amicizia che legava Giuda e Gesù, è una porta spalancata su un universo quasi sconosciuto, su cui Luca Doninelli ha fatto luce con Fa’ che questa strada non finisca mai. Parlare di queste due figure evangeliche e del loro rapporto, è anche un po’ parlare di tutti noi, di dimensioni essenziali della personalità, del desiderio di libertà e del vuoto di cui può essere fatta. Questa intervista, quindi, si muove tra letteratura, scrittura, dinamiche umane e le perturbazioni di cui sono fatte.
Luca, ti chiedo subito come è nata l’idea di approfondire la figura di Giuda, e quali sono state le tappe del percorso che si è poi concluso con questo libro?
Potrà sembrare strano, ma l’idea del libro nasce molto lontano dalle vicende evangeliche. Il punto di partenza è stata una riflessione sull’idea di corresponsabilità nel lavoro. Che differenza c’è tra svolgere – anche benissimo – una mansione e assumersi (pur dentro la propria mansione) una responsabilità rispetto all’opera nel suo insieme? Il Vangelo mi offriva una metafora abissale di un problema come questo, che sembrerebbe circoscritto all’etica professionale, ma non lo è. La dimensione del rapporto tra Gesù e il Padre è una dimensione tragica, la tragedia si illumina nell’obbedienza (pensiamo a un soldato che va a morire in battaglia obbedendo al suo generale). Ma la tragedia si realizza nella totalità del rapporto, senza riserve: non c’è un pezzettino di Gesù che sia al di fuori di questo rapporto, nemmeno quando vorrebbe fare altro. E non c’è un pezzettino del Padre che non sia implicato nel rapporto con il Figlio. Questa forma del rapporto affascina Giuda, che ama profondamente quest’uomo che sta sempre in ascolto, sempre attento al cenno del Padre – che parla attraverso circostanze come i poveri, i malati, gli amici sofferenti – quest’uomo che “non ha dove posare il capo”; al tempo stesso però non vuole liberarsi dei vincoli della Legge, la sua testa è piena di “questo sì – questo no”. Giuda resta legato all’etica della mansione. Questa alternativa si ripete in ogni istante, anche nella piccola dimensione quotidiana e lavorativa. Noi scegliamo in ogni istante tra la vita e la morte, tra il rischio e il ripiegamento di sé.
Nel testo si uniscono, come ricordi tu stesso, fonti storiche, religiose, e perturbazioni narrative. Quali sono state queste fonti, e da cosa nascono le perturbazioni nella scrittura?
Le fonti sono i Vangeli letti e riletti per decenni: sono il fondamento della nostra civiltà, la radice di tutto il simbolismo occidentale, e questo vale per chi ci crede come per chi non ci crede. Si bestemmia Dio, Gesù e la Madonna, non si bestemmia Einstein o Che Guevara. Circa la vita di Gesù, la biografia più bella, tra quelle che ho letto, resta quella del Ricciotti (Mondadori), che contiene una rigorosa cronologia degli eventi narrati nei testi evangelici (i quali procedono piuttosto per sussulti della memoria, in modo circolare, più che in linea retta). Sull’ultimo segmento della tua domanda non si può rispondere: non esiste il perturbamento della scrittura se non nel senso che la scrittura è perturbamento. Certo, c’è la vicissitudine della scelta del genere letterario: volevo scrivere un testo teatrale ed è nato un romanzo (anche se l’elemento drammaturgico di base resta). Il punto è che la materia che scegliamo di raccontare non è docile, e spesso si oppone alle nostre soluzioni, quando sono troppo ottuse. È vera materia: sono persone, cose, eventi. Scrivendo, scopriamo sempre che tutto è più difficile, sfumato, e nasconde facce sconosciute, che si svelano solo nel duro corpo-a-corpo con la scrittura.
Luca Doninelli
Parlaci un po’ dell’amicizia che legava Giuda a Gesù. Come possiamo descriverla?
La figura affascinante in questa amicizia, la più potentemente drammatica, è quella di Gesù. Gesù sa perfettamente che Giuda, pur amandolo, non condivide il punto più profondo di tutta la sua missione: il rapporto col Padre. Il bello è che Giuda capisce più di tutti gli altri che il cuore della questione è lì, e non altrove. Cristo annulla la Legge, non perché la neghi, ma perché la Legge stessa si trasforma in carne viva: Cristo è la Legge, la Legge si trasforma in una vita; le prescrizioni e i divieti decadono. Gesù mangia con i peccatori e guarisce di sabato. Giuda vede tutto ciò ma teme questo genere di libertà, la rifiuta. Si chiede: come può la libertà essere il culmine della Legge quando la Legge esiste per porre un argine proprio agli eccessi della libertà? Il contrappasso di questa posizione contraddittoria gli toccherà in un brevissimo inferno fatto di un altro genere di libertà, una libertà completamente vuota, quando – dopo il tradimento – sperimenta la totale indifferenza di tutto: virtù e vizio, legalità e illegalità, bene e male, giustizia e ingiustizia, tutto uguale. Ma forse questa orribile esperienza, simile più al panico che alla libertà, è anche l’inizio della sua purificazione.
Qual è quindi il significato del tradimento in questo rapporto? Che cosa provoca e che porte spalanca?
Il tradimento non è una cosa molto importante in sé. Per Gesù, che sa tutto, Giuda continua a essere un amico (“Amico, per questo sei qui?”). Giuda, non volendo entrare nella dinamica del rapporto da cui Gesù è costituito – perché noi siamo un rapporto, un dialogo, una conversazione, non un monolite -, ripiega su un atteggiamento di interpretazione, “interpreta” Gesù, decretando che è affetto da mania autodistruttiva. E lo consegna alle autorità per salvarlo dall’ira della folla, cui il suo atteggiamento lo espone, soprattutto a Gerusalemme, dove si discute di più e dove le teste calde abbondano. La sua stupidità, la sua scarsa volontà di capire che cos’è un uomo lo espongono a un errore che è molto più grande del suo piccolo (e a suo modo giustificato) tradimento, spalancando le porte a una visione del mondo in cui l’uomo è nulla, zero, carne da macello, e dove il principio fondamentale del potere è la gestione del caos. È quello che chiamo “potere delle tenebre”, ma potremmo chiamarlo anche “pornografia globale”: le cose sono così appiccicate alle loro immagini da confondersi, o forse sostituirsi, ad esse.
Un’immagine della copertina di Fa’ che questa strada non finisca mai
La letteratura ha sempre raccontato e interpretato le figure evangeliche, da Giuda alla Maddalena, da Pilato fino a Gesù. Come si pone la letteratura con la pseudo-autorità religiosa? Che rapporto c’è tra letteratura e Vangeli?
Che domanda …I Vangeli sono letteratura al massimo livello: l’episodio del Cieco Nato, la parabola del Figliol Prodigo, tutto il racconto della Passione a cominciare dalla tragica Resurrezione di Lazzaro, e così via: siamo ai vertici della letteratura di tutti i tempi. Quanto al problema dell’autorità religiosa, non esiste nessuno davanti a cui chinare la testa. Se l’autorità serve solo a limitare la libertà, allora è come Giuda: legalismo, burocrazia, idolatria della norma. I personaggi del Vangelo appartengono alla vita di tutti, cristiani e non, credenti e non. Appartengono a tutti gli uomini perché la storia che raccontano è fondamentale per tutti.
E quindi, alla fine di questo percorso, che cos’è per te l’amicizia?
È una dimensione essenziale della personalità. L’amicizia vera ci rende migliori: più discreti, più rispettosi, più attenti alle differenze, più capaci di ascoltare e al tempo stesso più riservati. Con l’amicizia cresce il senso della nostra unicità, cresce il pudore, cresce la capacità di difendere quello che è soltanto mio, tuo. L’amico non viola questo territorio, ma sa che esiste, come dice meravigliosamente R. L. Stevenson nel suo scritto intitolato I Lanternai. Alcuni di noi portano una lanterna accesa sotto il cappotto, in modo che la luce non sfugga. A volte, camminando nella notte, ci capita di incontrare un passante. Nessuna luce si vede, ma dal modo di camminare, dall’espressione del viso, dal modo in cui ci saluta, noi possiamo capire, per empatia, se anche lui porta la lanterna come noi oppure no. Ecco, l’amicizia per me è questa cosa.