Cinque dischi fondamentali di Mike Patton

Ad un’artista normale ci vorrebbero tre-quattro vite per fare quello che ha fatto Mike Patton in trent’anni di carriera. Nato ad Eureka, California, nel 1968, il vocalist, compositore e multistrumentista si è contraddistinto sin da subito per uno sguardo inquieto, capace di spaziare dal metal al funk al jazz all’elettronica, spesso tenuti assieme grazie alla straordinaria varietà di toni di cui è capace la sua voce.

A Patton il formato tradizionale della canzone è sempre stato stretto. Anche quando ci si è dedicato (i dischi dei Faith No More, la raccolta di cover Mondo cane) vi ha iniettato dosi straniante di eccentricità, in grado di dare nuovo vigore alle solite trame basso-chitarra-batteria del rock. Per il resto, è evidente l’interesse del nostro per un formato più sperimentale, figlio del collage zappiano e della passione per le colonne sonore (vedi i Fantômas).

In occasione dell’uscita del nuovo album dei Faith No More, Sol invictus, abbiamo realizzato una panoramica su alcuni degli album più peculiari di Patton. Data la numerosissima produzione, abbiamo dovuto lasciar fuori molti progetti: le collaborazioni con John Zorn, con Kadaa (Romance), i Peeping Tom, General Patton vs. The X-Ecutioners e tanto altro. I dischi che trovate qui sotto li abbiamo scelti per la loro capacità di raccontare ciascuno un lato della personalità di questo straordinario artista, forse l’ultimo e genuino sperimentatore del rock.

Faith No More – The real thing (1989)

Il primo disco con i Faith No More non si scorda mai. Patton, già attivo nei Mr Bungle (con cui aveva inciso una serie di demo) subentra nella band al posto del dimissionario Chuck Mosley e porta in dote il suo istrionismo vocale.

The real thing è un disco trascinante ed energico. Il trittico d’apertura, From out of nowhere, Epic e Fall to pieces è da ko. Nella prima, il riff di tastiere si sposa alla perfezione con le traiettorie hard-rock della chitarra e la ritmica impetuosa. In Epic, uno dei brani simbolo della band, il cantato rap di Patton e le sei corde heavy sfociano in un refrain epico, condito dai fiati. Fall to pieces vanta una melodia irresistibile, con le tastiere che aggiungono suggestioni quasi esotiche al funk-metal anni ’90.

Il resto di The real thing non è da meno. L’indemoniata title-track, il lancinante strumentale Woodpecker from Mars e la minacciosa Surprise! You’re dead offrono altrettante riletture degli stilemi metal, a cui fa da contraltare la classica cover War pigs, dei Black Sabbath (pezzo non incluso nella tracklist originale). Un album che ancora oggi non smette di entusiasmare.

Mr Bungle – Mr Bungle (1991)

Prima dei Faith No More c’erano i Mr Bungle, formazione nata a metà degli anni ’80 dall’unione creativa del vocalist con Trey Spruance e Trevor Dunn.

Il primo full-lenght, prodotto da John Zorn, è una formidabile raccolta di gag zappiane. Lo spettro di stili è vastissimo. Quote unquote, per esempio, è un concentrato animalesco di chitarre heavy, funk parodistici, tastiere sinfoniche e deviazioni swing. Il crossover di Slowly growing deaf, My ass is on fire, The girls of porn e Squeeze me macaroni, è irriverente e goliardico, ma anche terribilmente arguto. Dentro ci troviamo fiati alla George Clinton, rasoiate hard rock, marcette klezmer, recitati volgari e deliranti crescendo free-jazz.

Il mix è portato alle estreme conseguenze nelle lunghe Egg e Dead goon (oltre 10 minuti), che testimoniano l’interesse per un formato più sperimentale che Patton avrà modo di soddisfare soprattutto nei dischi con i Fantômas.

Fantômas – Delirium cordia (2004)

Un’unica e monumentale suite di 74 minuti tra drone music, doom, jazz, ambient, musique concrete. Con Delirium cordial’ambizione (o, se preferite, l’ego) di Mike Patton rompe gli argini e disegna un’opera dalla pretesa di totalità.

Difficile interpretare il flusso dei suoni: la band cuce assieme tastiere ambientali, field recordings, pianoforti appena abbozzati, chitarre doom, bisbigli, per creare una colonna sonora da incubo. Non c’è un concept, non in senso classico. Al di là dei riferimenti alla chirurgia (il titolo della suite è Surgical sound specimens from the museum of skin), l’idea sembra essere quella di sfidare l’ascoltatore ad un’immersione totale in una materia sonora inquieta, multiforme.

Cialtronata o colpo di genio, poco importa. Deliriium cordia è comunque un album di fronte al quale non si può rimanere indifferenti.

Tomahawk – Anonymous (2007)

Nel 2000, Patton ha dato vita ai Tomahawk con l’ex-chitarrista dei Jesus Lizard, Duane Denison, l’ex-batterista degliHelmet, John Stainer, e il bassista dei Melvins, Kevin Rutmanis. Anonymous è il terzo disco del supergruppo ed ha una particolarità: i brani si basano su una serie di antiche composizioni dei nativi americani, rintracciate proprio da Denison.

Il risultato è decisamente avvincente. Tra spettrali liturgie (Ghost dance), visioni allucinate (Mescal rite I e II) e danze propiziatorie (Crow dance), il fascino magico della musica indiana si fonde con le sonorità aspre e disarticolate del rock di Patton in modo istintivo, quasi fisico.

Giusto per avere un’idea, Anonymous è un po’ un mix di Mr Bungle e Fantômas, ma non somiglia propriamente a nessuno dei due. Come del resto non somiglia alla musica indiana. In fondo, il segreto di Mike Patton e tutto qui: ogni cosa che fa crea la sua stessa storia e si pone come pietra di paragone unica.

Mike Patton – Mondo cane (2010)

Gino Paoli, Fred Buscaglione, Fred Buongusto, Ennio Morricone: cos’ha Mike Patton in comune con questi artisti? Un paese, l’Italia, che l’ha accolto come seconda patria per un periodo della sua carriera (Patton è stato fidanzato con una ragazza di Bologna e nella città emiliana ha vissuto per lungo tempo).

Alla cultura italiana, prima del 2010 Patton aveva dedicato già altri tributi: Pranzo oltranzista, raccolta di pièce deliranti ispirate al futurismo, e le riletture dei temi di Rota e Morricone in Director’s cut dei Fantômas. In Mondo cane (che prende il nome da un tour lungo due anni), il suo tipico sound sardonico si confronta con gli stilemi della “canzonetta” italiana.

Il cielo in una stanza di Paoli, Che notte! di Buscaglione, Ti offro da bere di Gianni Morandi, funzionano alla perfezione. Più scontati gli omaggi a Morricone (Deep down e Quello che conta), soprattutto rispetto a Scalinatella di Roberto Murolo. La ricchezza di toni e di arrangiamenti, l’originalità dell’interpretazione, fanno di Mondo cane molto di più di un semplice divertissement d’autore.

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